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Terroristi di casa nostra
L'armata della Guerra Santa nel nostro Paese è un caso anomalo. Giovani magrebini, un centinaio, puntano ad accreditarsi di fronte ad Al Qaeda e Isis su blog e gruppi social. E intanto il Califfato li monitora per arruolare non solo soldati, ma anche laureati
Quando gli agenti tre anni fa misero le manette a Jarmoune, nel suo pc c’erano già le coordinate su Google Map che indicavano un obiettivo preciso da colpire: erano giunti poco prima del punto di non ritorno. Sono tante le corse contro il tempo, come questa, che l’antiterrorismo italiano dovrà accelerare dopo le stragi di Parigi. Ma nel nostro Paese l’identikit jihadista ha tanti nomi e poche certezze. L’intelligence è focalizzata su una lista di un centinaio di nomi, in maggioranza magrebini di seconda generazione già inseriti nel contesto italiano, residenti soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Veneto e Lazio. Di questi, una decina sono donne. Si tratta di persone abbastanza conosciute negli ambienti investigativi, sui social e sui blog sono apertamente favorevoli alla guerra santa contro l’Occidente e si espongono all’occhio vigile dell’Isis, che seleziona i più ‘meritevoli’ per convincerli a far parte del Califfato.
Il vivaio di aspiranti Rambo della sharia è rappresentato da cani sciolti che puntano ad accreditarsi di fronte ad Al Qaeda o all' Islamic State aprendo blog personali e stabilendo contatti con altri utenti europei di spicco dell’estremismo islamico, come i curatori di '4Sharia' in varie nazioni o i frequentatori di 'Ansar al-Mujahideen English'. Alcuni hanno viaggiato passando per zone di guerra, hanno consolidato conoscenze e in Italia vivono spesso isolati dal resto delle comunità islamiche. Ogni caso, quindi, rappresenta un frammento diverso nelle mani dei Ros e della Digos, in bilico tra il dire e il fare dei sospettati. Non formano una vera comunità neppure su internet. L’unico legame sono le convinzioni più estreme del salafismo, collante per potenziali terroristi, differenti dai più avanzati jihadisti di Londra, Parigi, Belgio o Germania. E in attesa di una terza generazione anche qui.
Cresce il mito del guerriero 'fai da te' mentre l’Isis aumenta i consensi grazie ai social e alla spettacolarizzazione dei suoi orrori. Senza restare a guardare. Come succedeva già nel Medio Oriente, le giovani leve vengono monitorate dai talent scout del terrore, per assoldare i migliori. Fucili ma anche cervelli. Non si cercano solo soldati provetti kamikaze: lo Stato Islamico ha nuovi target e così pesca nella rete studenti universitari, ingegneri e medici con tendenze estremiste cominciando a dialogare con loro. Il pericolo è concreto: sono centinaia gli utenti che dall'Italia accedono ai forum Ansaral-Mujahideen (le versioni English e Arabic), Shumukh, al-Qimmah. Un mezzo utilizzato per la propaganda è anche twitter, sempre più usato: nei giorni in cui #CharlieHebdo e #JeSuisCharlie erano gli argomenti più discussi, i terroristi si sono agganciati a questi hashtag rilanciando i loro messaggi.
Aldilà della rete, il problema è anche focalizzato su quelle figure di raccordo con le organizzazioni. Pur essendo ancora in pochi, in Italia esistono 'facilitatori' che hanno legami con i gruppi terroristici e possono agevolare le rotte verso altri Paesi e gli scambi di informazioni. Un allarme è stato lanciato – secondo fonti – dai servizi segreti tunisini, che descrivono il paese come un buco nero dal quale è possibile imbarcarsi verso la Turchia per la Siria ed altre zone di guerra e fare ritorno, passando inosservati. A questo si aggiungono i particolari legami degli estremisti con il gruppo tunisino di Ansar al-Sharia, gruppo salafita con tendenze jihadiste che dopo la caduta di Ben Ali ha acquisito un grosso seguito. Tutto risale ai primi anni del duemila, quando alcuni tunisini furono arrestati e poi espulsi verso la le carceri tunisine all’epoca di Ben Ali. Dopo la caduta del regime, molti di loro hanno mantenuto i contatti con l’Italia e potrebbero sfruttarne appoggi logistici. Così come l’Algeria, altro Paese su cui si focalizzano i flussi sotto questo aspetto. Una porta alternativa, già da qualche anno, sono anche i Balcani, l’Albania e il Kossovo.
In tutto questo traffico gli ambienti di alcune moschee sembrano aver perso la loro peculiarità ormai da tempo. Restano comunque situazioni delicate come quella di viale Jenner a Milano o di Ostia, sul litorale romano, con una forte presenza di egiziani e di Fratelli mussulmani reduci della primavera araba, che non professano la jihad ma che a Roma possono rappresentare la frangia più estrema dell’Islam. E più volte il timore di radicalizzazioni spinge a puntare il dito contro alcuni predicatori, presenti anche in tv locali. Uno tra i tanti impegnati nella diffusione del credo mussulmano, ma che rifiuta etichette feroci come la jihad, è Usama el-Santawy. E’ un giovane attivista islamico sunnita di seconda generazione e milanese, che ha avuto contatti con jihadisti autoctoni italiani, ma dai quali ha sempre preso le distanze condannando atteggiamenti di violenza. "Quello che dico è stato spesso travisato - spiega el-Santawy – sono anche vittima di minacce quotidiane e strumentalizzazioni mediatiche. Charlie Hebdo? Condanno gli episodi di violenza di Parigi – chiarisce - . Quei terroristi sono alla stessa stregua dei fascisti". Diversi salafiti fanno 'street dawa', predicano in strada, e sono molto attivi online ma non sono coinvolti in alcuna attività violenta."La questione del jihadismo aumenta dopo le stragi - spiega Lorenzo Vidino, esperto di terrorismo dell’Istituto degli Studi di Politica Internazionale – perché in quegli ambienti si ha l’impressione che alcuni gesti siano alla portata di tutti".
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Dalla tastiera alla strada, fino ai legionari, come testimoniano i dati diffusi dal Ministero sui foreign fighters nostrani. Ma il cambiamento si avverte ormai da quialche anno. Tra i precedenti, spicca il caso di Jarmoune, soprannominato ‘Mimmo il timido’, un ventiduenne marocchino della Valcamonica perfettamente integrato che vive in Italia fin da bambino e lavorava come perito. In poco tempo la sua intensa attività online lo ha portato a scaricare manuali per costruire ordigni, libri di propaganda e gruppi facebook con oltre 300 persone, uno dei quali co-gestito con una quarantenne yemenita di base a Londra, sposata con un membro importante di Al Qaeda. Jarmoune, che utilizzava anche software per la criptazione dei messaggi come 'MujahideenSecrets', viveva la sua doppia vita online, discutendo della possibilità di diventare 'shahid', martire, e progettando un attentato a Milano. Nel 2012 salvò su Google Map un file con una dettagliata visita virtuale alla sinagoga di Milano, nella centralissima via Guastalla. Aveva studiao vie di accesso, sistemi di sicurezza e presidi della polizia. A quel punto intervenne la Digos, che nella sua stanza recuperò materiale simile a quello per la fabbricazione di detonatori e vari schemi.
Anas el-Abboubi è invece il rapper bresciano di 23 anni, prima condannato e poi assolto, che ora però combatte in Siria al fianco dell’Isis. Il suo è stato un processo di radicalizzazione rapidissimo, che lo ha portato dal rap fino a bollare la musica come 'haram', attività vietata dell’islam. E’ stato fondatore del blog Sharia4Italy, sulle orme del più prestigioso Sharia4Beglium. Anche nel suo caso, il primo arresto partì quando il giovane cominciò a fare ripetute ricerche in vari siti di rilievo a Brescia. Dopo la conferma di scarcerazione Anas fece perdere le proprie tracce, per poi farsi vivo sul web attraverso Facebook. Ora combatte ad Aleppo. Stessa scelta della napoletana Maria Giulia Sergio e del genovese Giuliano Delnevo, che aveva conosciuto Anas online ed è morto nel 2013 in Siria combattendo. Storie che stridono con altre centinaia di adolescenti delle terze generazioni in Italia – simpatizzanti per la jihad –che invece vivono il web intrappolati negli ossimori, tra un ‘Mi piace’ ai video delle star nostrane della tv e i post che inneggiano alla guerra santa contro la decadenza dell’occidentalismo. Nel tempo il rischio è che qualcuno varchi il confine virtuale. E' allora che i cyber-guerrieri trasformano il loro credo, fino a sistemarlo nella canna di un kalashnikov.
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