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Nonostante parte dei fondi sia disponibile
Sebbene parte dei fondi sia disponibile, gli edifici scolastici non sono ricostruiti. Mentre per le superiori i dati sulla vulnerabilità sismica, solo di recente resi pubblici, preoccupano i genitori. La scuola è il futuro. Che futuro ha il capoluogo d'Abruzzo?
La fotografia delle scuole dell’Aquila non è proprio quella che ci si aspetterebbe, in una zona ad alto rischio sismico, otto anni dopo il devastante terremoto del 6 aprile 2009: 6 mila bambini vanno ancora in classe nei container, nessuna delle loro scuole è stata ad oggi ricostruita, nonostante 44 milioni siano disponibili dal 2013-2014.
E anche i ragazzi delle superiori, dopo i terremoti di Amatrice e Montereale e con le scosse ancora in corso, non se la passano meglio: molti dei loro istituti, infatti, hanno indici di vulnerabilità sismica molto bassi. Ma questi dati, nonostante le verifiche in tal senso siano state effettuate dalla Provincia nel 2013, sono stati resi pubblici solo a gennaio, dopo una richiesta di accesso agli atti da parte dei genitori.
In particolare è ancora al centro delle cronache il caso del liceo Cotugno, che stando alle carte ha problemi statici e strutturali a prescindere da un terremoto. Ma anche le altre scuole superiori, secondo tali verifiche, non sono state adeguate sismicamente.
Nonostante 44 milioni siano disponibili nelle casse comunali dal 2013-2014 per la ricostruzione delle scuole, ad oggi all'Aquila i bambini vanno ancora a lezione nei container. A settembre 2009 erano stati allestiti 36 Musp (Moduli Uso Scolastico Provvisorio) che, come dice il nome, potevano durare circa 4 anni secondo le stesse ditte che li consegnarono. "Il ritardo - dichiara all'ANSA l'Assessore Maurizio Capri - dipende dal fatto che i soldi sono arrivati tardi, 4-5 anni dopo il sisma. Ma non siamo stati fermi. Negli uffici, compatibilmente con il personale che abbiamo, stiamo facendo il massimo”.
Oggi di anni ne sono passati 8 e quelle scuole sono ancora in quei 36 Musp. Ci sono alcuni bambini, all'Aquila, che non hanno mai conosciuto una vera scuola. In questi grandi prefabbricati si trovano quasi tutte le scuole primarie dell’Aquila, scuole medie, anche il liceo musicale, l’istituto alberghiero. Le uniche scuole rientrate nelle vecchie sedi in muratura, ma nell’immediato post-terremoto, sono quelle che avevano meno danni.
I fondi per ricostruire diversi edifici scolastici di competenza del Comune sono disponibili dal 2013-2014. Per le scuole dell'Infanzia e Primaria comunque "non bastano quei 44 milioni. Per tutte quelle da ricostruire ne servono circa il doppio, soprattutto per le scuole del centro storico" che al momento non sono ancora neanche demolite, precisa l'assessore Capri. Il Comune sta cercando di reperire altri fondi attraverso il Cipe. Sta di fatto che sono passati otto anni e famiglie e docenti stanno perdendo la speranza.
Ad oggi lo stato dell'arte è questo: sono state demolite due scuole, la "Mariele Ventre" nel quartiere periferico di Pettino e la scuola di Arischia, una frazione dell'Aquila, che ora è in avvio di ricostruzione. Poi sono stati approvati alcuni progetti.
"Non si sta muovendo nulla - denuncia Silvia Frezza, maestra della scuola Gianni Rodari di Sassa e componente della Commissione Oltre il MUSP -. E' stata stilata una lista di priorità ma ad oggi nessuna scuola è ricostruita. L'unico esempio virtuoso è la scuola di Roio, ricostruita e antisismica”.
Come si fa a tenere insieme la popolazione dell’Aquila se le scuole si trovano, dopo 8 anni, in questa situazione? Intanto i container cadono a pezzi: infiltrazioni, problemi alle fogne e ai condizionatori, pavimenti che si staccano. Due anni fa lo avevamo descritto in un reportage sulle scuole.
Ma i progetti? C'è il caso, per esempio, del Masterplan della scuola "Gianni Rodari" di Sassa, che dunque non è ancora progetto ma è una fase preliminare, per il quale "c’è stato un percorso partecipato davvero importante fatto con il Comune, l’architetto Mario Cucinella, associazioni, studenti e cittadini. Il Masterplan è stato depositato nel marzo 2016 e il cronoprogramma prevedeva il termine dei lavori in 178 settimane ma ancora nulla è cominciato”, dice Silvia Frezza. “C’è un ritardo – ammette l’assessore Capri – ma è dovuto a questioni tecniche non dipendenti da noi”.
E le verifiche di vulnerabilità delle scuole, obbligatorie in tutta Italia dal 2003? “Negli edifici di competenza del Comune stiamo dando gli incarichi per eseguirle”, conferma Capri. Dunque ad oggi non ci sono dati sulla vulnerabilità delle scuole materne, elementari e medie. Nelle superiori la Provincia le ha fatte eseguire nel 2013, ma di questo parleremo più avanti.
Intanto molti vanno via dall'Aquila e il rischio, soprattutto in prospettiva negli anni a venire, è lo spopolamento di una città capoluogo che contava 70 mila abitanti ma un bacino di vera residenza di 100 mila persone, tra professori della rinomata Università, medici dell’Ospedale San Salvatore, professionisti e studenti che venivano da fuori e che affittavano le tante case del centro città.
“Scuola e lavoro – denuncia la maestra Frezza - erano le priorità che dicevano avrebbero rispettato. Ebbene si è visto: il lavoro all’Aquila non c’è, le scuole sono ancora nei container. Così i genitori iscrivono i figli in scuole di altre città: Pescara, Roma, Teramo. Abbiamo perso 300 iscrizioni subito nel 2009, ad oggi ne abbiamo 800 in meno, ma se continuiamo così? L'ultimo che ha mollato - prosegue la maestra - è stato un mio amico, con due figli piccoli, sempre presente e da subito attivo nei movimenti civici del post-terremoto, uno che a differenza di altri è rimasto in questi 8 anni, uno che ha lottato. Ebbene, pochi giorni fa su Facebook ha scritto: “Mi arrendo. Me ne vado”".
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Subito dopo il terremoto del 6 aprile 2009 negli edifici scolastici aquilani non gravemente lesionati venne fatta una semplice riparazione da danno sismico dal Provveditorato Opere Pubbliche per consentirne la riapertura a settembre. Vennero rilasciati i certificati di agibilità ma non furono fatte le verifiche di vulnerabilità, comunque obbligatorie in Italia dal 2003 anche per gli edifici scolastici (OPCM 3274), “perché non c'è n'era il tempo e perché si ritenne che il sisma avesse costituito una sorta di collaudo empirico delle strutture che non erano crollate. Una prova del nove insomma”, ricorda l’avvocato aquilano Rosario Panebianco, genitore di uno studente del liceo Cotugno, una delle scuole più a rischio, stando alle carte.
“C’è da considerare anche un altro aspetto: all’epoca c’era anche un'emergenza di tipo di emotivo – spiega Massimo Prosperococco del Comitato Scuole Sicure AQ –. Era importante rientrare in città, dalle sistemazioni sparse anche sulla costa; ed era fondamentale che i ragazzi riprendessero le scuole all’Aquila. Per questo, e per il fatto che ci dicevano che le scuole "erano sicure perché non erano crollate", ci siamo rassicurati. Tutti noi abbiamo sottovalutato e in molti ci sentiamo colpevoli ma questo, per Comune e Provincia, non può essere una giustificazione”.
Solo nel 2013 le verifiche di vulnerabilità furono finalmente eseguite ma solo per le scuole superiori, di proprietà della Provincia, “mentre per quelle elementari e medie il Comune dell'Aquila risulta ad oggi ancora inadempiente, ma nessuno (né genitori, né studenti, né dirigenti scolastici) fu messo al corrente sugli esiti di queste indagini”, racconta l'avvocato Panebianco.
Gli studi di vulnerabilità sismica quindi sono rimasti nel cassetto fino a dicembre-gennaio scorsi, quando un gruppo di genitori ha fatto richiesta di accesso agli atti, scoprendo la preoccupante vulnerabilità delle scuole superiori aquilane. L'indice è positivo se maggiore o uguale a 1, negativo se minore di 1. Il Cotugno ha una vulnerabilità di 0,26; lo scientifico Bafile 0,36; l’Itis 0,17. “Dal 2013 gli esiti di queste indagini sono stati tenuti colpevolmente nascosti dalla Provincia”, lamenta l’avvocato. Il Presidente della Provincia dell’Aquila Antonio De Crescentis, in carica dal 2015, afferma che “nessuna Amministrazione avrebbe reso noti quei dati; che comunque da anni sta chiedendo di inserire le scuole aquilane nei piani triennali di finanziamento ma che purtroppo ci scontriamo con le esigue risorse nazionali”.
Intanto da mesi all’Aquila la terra ha ricominciato a tremare forte. Il 24 agosto 2016 il terremoto ha distrutto Amatrice, che dista appena 20 km. E il 18 gennaio ci sono state 4 terremoti di magnitudo superiore a 5, con epicentro Montereale, che dista appena 10 km. E’ quindi tornata la paura. E ad aumentare le preoccupazioni ha contribuito anche il comunicato della Commissione Grandi Rischi del 20 gennaio, che metteva in guardia circa una sequenza sismica non esaurita, con possibili scosse fino a magnitudo 6-7 nelle aree contigue. Dunque la popolazione aquilana da 8 anni non esce dall’incubo e oggi scopre, contrariamente a quanto si tramandava, che i grandi terremoti all’Aquila non arrivano solo ogni 300 anni (vedi quelli del 1461 e del 1703).
Dunque, racconta l’avvocato Panebianco, “dopo quello che è accaduto nel 2009 qui ci troviamo in una situazione surreale, con un rischio sismico potenzialmente imminente e con scuole non sismicamente sicure perché non sismicamente adeguate, ma regolarmente aperte nel 2009 in virtu' di certificazioni di agibilità emesse prima delle verifiche di vulnerabilità. Un paradosso – prosegue -, perché, se la verifica di vulnerabilità fosse stata eseguita prima dell'agibilità, ne avrebbe costituito parte integrante nella valutazione di agibilità stessa, ma essendo temporalmente posteriore sembrerebbe consentire di tenere aperti edifici sismicamente vulnerabili”.
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C’è un liceo all’Aquila di cui si è molto scritto sulla stampa locale negli ultimi mesi, il Cotugno nel quartiere di Pettino, periferia aquilana. La struttura, stando alle verifiche di vulnerabilità effettuate nel 2013, non rispetta parametri di sicurezza a prescindere da un terremoto, per carenze statiche e strutturali in particolare nel corpo F.
Carenze che, stando a quanto riportato dai tecnici, non farebbero sopportare il peso stesso della struttura e i carichi interni. Negli altri 5 blocchi la verifica ai carichi verticali risulta soddisfatta solo se si dimezzano i carichi accidentali, ma in tal caso, se non si procede subito ai necessari interventi di adeguamento, le norme imporrebbero la modifica della destinazione d’uso dell’edificio, da scuola ad altro.
A febbraio, dopo la pressione e le richieste dei genitori, la scuola Cotugno è stata chiusa e gli studenti sono stati trasferiti nell’istituto tecnico Itis Amedeo D’Aosta (che ha un indice di vulnerabilità ancora più basso). I ragazzi del Cotugno, racconta la docente Annalucia Bonanni, hanno dovuto affrontare turni pomeridiani, fino alle 18:30 anche il sabato, quando le classi dell'Itis erano libere, di fatto stravolgendo la vita delle famiglie. Niente più sport, niente più vita sociale, anche meno tempo passato in famiglia, ma soprattutto bioritmi capovolti.
Poi, dopo alcuni controlli, a marzo la Provincia ha disposto il rientro nella sede del Cotugno, ma chiudendo i corpi F e G. L’altra metà della scuola è stata riaperta limitando però i carichi accidentali da 300 kg/mq (come previsto dalle norme per le scuole) a 200 Kg/mq.
“Il dato è ragionevolmente sicuro, soddisfa requisiti minimi di sicurezza – afferma all'ANSA il presidente della Provincia Antonio De Crescentis -. E comunque è un rischio mitigato rispetto a prima di questa limitazione”. Ma condizionare l’utilizzo dell’edificio alla riduzione dei carichi accidentali, replica l’avvocato Panebianco, “significa declassarlo, con la conseguenza di non poterlo più adibire all’uso scolastico. Così è tutto fuori norma”. Inoltre, a seguito della chiusura dei blocchi F e G, laddove prima c’erano 31 classi oggi ne vengono inserite 38, con un sovraffollamento di circa 180 alunni. Per questo motivo i genitori hanno presentato un ricorso al Tar contro la riapertura della scuola in queste condizioni. Il 5 aprile scorso il Tar ha nominato un "verificatore" che dovrà spiegare al collegio gli aspetti tecnici del ricorso.
Anche la Provincia ammette che, stando alle perizie, gli indici di vulnerabilità delle scuole superiori aquilane sono molto bassi ma che, nel caso del Cotugno, “prove di carico successive alle verifiche del 2013 hanno dato esito soddisfacente”. Per queste discrepanze verranno eseguite nuove prove di vulnerabilità nel liceo Cotugno. Verranno fatte anche sugli edifici di proprietà del Comune - materne, primarie e medie - in cui finora non sono state eseguite. Le indagini sono state affidate al Consorzio interuniversitario ReLuis che sta stabilendo un protocollo unico per questo tipo di indagini, per avere dati più attendibili e meno soggetti a discrezionalità, così come era stato chiesto anche dal sindaco dell’Aquila Massimo Cialente. Un metodo, quello per la raccolta dei dati nelle verifiche di vulnerabilità degli edifici, che dalla Regione Abruzzo potrebbe anche poi essere portato a livello nazionale.
“Si è scoperchiato il vaso di Pandora. Ma interessa l’incolumità degli studenti?”, chiede l’avvocato Panebianco. Così un gruppo di genitori del Cotugno ha presentato un ricorso con il quale è stata chiesta la sospensione dell’efficacia del provvedimento adottato l’8 marzo dalla Provincia che ha disposto la riapertura della scuola. I genitori chiedono un altro edificio dove poter far stare in sicurezza i ragazzi finché il Cotugno non sarà sicuro.
Con un decreto monocratico, adottato dal Presidente del TAR, sono state riconosciute le esigenze cautelari rappresentate nel ricorso, “ritenendo prevalente l’interesse alla sicurezza e alla incolumità personale degli studenti, dei docenti e del personale”, racconta Panebianco, che anche è padre di uno dei ragazzi del Cotugno.
Si è però in attesa di sapere se il Collegio confermerà la sospensiva già concessa in via monocratica.
Dunque cosa accadrà dopo? “Non potrò che rispettare la sentenza”, ha commentato il presidente della Provincia Antonio De Crescentis. I ragazzi torneranno a fare i doppi turni in un'altra scuola? Si troverà una sede più sicura? Il problema è che attualmente all’Aquila non c’è una struttura, anche provvisoria, dove poter trasferire la scuola. Si paventa dunque il rischio di ritorno a faticosi orari pomeridiani.
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Dal 20 gennaio, giorno del comunicato della Grandi Rischi, ogni mattina all'Aquila al posto del meteo si consulta il sito dell'INGV, soprattutto prima di andare a scuola, racconta l’avvocato Rosario Panebianco.
A questo punto molti genitori si sono organizzati in Comitati, per far sentire la propria voce e spingere le Istituzioni a fare qualcosa di concreto per la sicurezza degli studenti.
Perché, come si è visto, non c’è solo il caso Cotugno. All’Aquila le scuole superiori hanno, sempre stando alle verifiche del 2013, indici di vulnerabilità molto bassi. Altri edifici che preoccupano i genitori sono lo scientifico Bafile e l’istituto tecnico Itis. In una scala da 1 (edificio sicuro) a 0 (edificio insicuro) il Cotugno ha una vulnerabilità di 0,26; lo scientifico Bafile 0,36; l’Itis, dove a febbraio erano stati trasferiti con turni pomeridiani i ragazzi del Cotugno, 0,17.
E’ nato così il Comitato Scuole Sicure L’Aquila, così come in altre regioni dell’Italia centrale sono nati altri Comitati, raggruppati a livello nazionale nel Comitato Scuole Sicure Italia. Anche all’Aquila i genitori si sono divisi in base alle competenze: ci sono avvocati, ingegneri, architetti. Si tenta così di fare pressioni sulle controparti, soprattutto Comune e Provincia. Nonostante questo, raccontano, la situazione ad oggi non è cambiata. Tra poco invieranno una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e per questo hanno già raccolto migliaia di firme.
La proposta dei genitori è di creare una struttura di 'back-up', anche una tensostruttura provvisoria, che possa ospitare circa 1200 studenti: ora per il Cotugno, un domani per altre scuole da adeguare simicamente o come polo per le emergenze.
“Io penso che L’Aquila oggi sia una città sicura, molto più sicura del 2009, in quanto ricostruita con criteri antisismici – afferma Massimo Prosperococco del Comitato Scuole Sicure AQ -. Non sono un allarmista. Ma questa storia delle scuole è stata totalmente sottovalutata”.
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In questi otto anni c'è chi ha lasciato L'Aquila per le difficoltà oggettive di vivere in questa città in ricostruzione, portando la propria famiglia a vivere altrove. E c'è chi è restato per l'unicità del vivere in questa città. Nell'uno e nell'altro caso non si tratta di scelte facili.
Il centro è un megacantiere, il più grande d'Europa, e mese dopo mese svela facciate rinascimentali, di pietra bianca, appena restaurate, con criteri antisismici. Ma la maggior parte degli abitanti, a parte poche famiglie, non è rientrata nelle case del centro e neppure i negozi sono tornati, eccetto alcuni pionieri, amatori, ottimisti. E' solo tornata, da molto tempo, la movida notturna dei giovani, attirata dai pub riaperti nel centro tra palazzi puntellati, betoniere e gru che svettano nel cielo tra i palazzi vincolati.
Prima del terremoto L'Aquila era una città di provincia, d'arte e di cultura, molto vivibile. Oggi è complicato viverci. "E così andare via o restare è l'eterno dilemma - racconta Enrico De Pietra -. Sfido qualunque aquilano a non aver avuto, almeno una volta in questi anni, la tentazione di andar via". Enrico è nato e cresciuto a Rieti, poi all'Aquila ha frequentato l'Università e vi è rimasto per ragioni sentimentali, ma non solo quelle. "E stata proprio una scelta - racconta -, per l'ottima qualità della vita che c'era. Io ho proprio scelto di vivere all'Aquila e forse, perché non sono nato qui, sono anche più morbosamente attaccato a questa città".
Subito dopo il sisma gli aquilani sfollati hanno subito una dolorosissima diaspora: in molti hanno dovuto lasciare la città, trovando sistemazione altrove. Così, con la moglie e la figlia che allora aveva 9 anni, Enrico si è trasferito in provincia di Chieti. "Ma è durata poco - ricorda -, la voglia di tornare all'Aquila era più forte di noi". E così sono tornati, prima in una delle sistemazioni a disposizione nella scuola della Guardia di Finanza, poi in un alloggio del progetto C.A.S.E. (le new town). "Poi però tornare a casa nostra - ammette - ci ha cambiato la vita".
Ora la figlia di Enrico ha 17 anni, è un'adolescente, frequenta il liceo Cotugno, di cui si è scritto in questo magazine. "Questo grande problema delle scuole qui all'Aquila non sarebbe dovuto accadere", commenta il padre. E poi nel post-terremoto c'è un problema di spazi per socializzare. Per i ragazzi, come anche per gli adulti, è difficile incontrare persone: non c'è il centro dove passeggiare, la vita è dislocata in mille punti diversi e spesso in quartieri distanti o addirittura in frazioni diverse. E, a differenza di prima, si usa molto, anzi troppo, l'automobile. A differenza degli adulti, però, qui gli adolescenti di oggi non hanno mai conosciuto la vera città, con una vita aggregativa normale. Ci vorrà molto tempo. Enrico prevede con lucida amarezza che la sua generazione di cinquantenni non rivedrà la vita nel centro storico come era prima del terremoto.
Ci sono poi coloro che hanno scelto di andare via, con dispiacere, con una lacerazione interiore. "Mio figlio frequentava il primo anno al liceo scientifico Bafile, uno di quelli che da pochi mesi abbiamo scoperto avere bassi indici di vulnerabilità sismica - racconta Fabrizio Perfetti -. E così ci siamo dovuti trasferire a Pescara". Ma non è stata una scelta facile. "Ci è dispiaciuto andare via: avevamo fatto tanto per tornare all'Aquila dopo il terremoto, da una sistemazione a Pescara che pensavamo temporanea. Avevamo ricostruito casa all'Aquila, ed eravamo contenti. Ma un genitore, dopo quello che è accaduto qui, non credo possa stare con questa incertezza sullo stato delle scuole dei propri figli. E qui non ci sono prospettive: seppure si decidessero subito a rimettere a posto le scuole, ci vorranno ancora tanti anni tra progetti, bandi, appalti, eventuali ricorsi e poi con i lavori". E così Fabrizio e sua moglie ogni mattina tornano all'Aquila, dove è rimasto il lavoro, e la sera ritornano a Pescara, dove hanno la famiglia. Pendolari insomma, e non proprio per scelta.
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