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Decennale del terremoto dell'Aquila
Tornano candidi palazzi e Chiese, ma le scuole non sono ricostruite e nel centro manca la vita vera. Tanto è stato fatto, molto resta da fare
A dieci anni dal 6 aprile 2009 la ricostruzione materiale dell'Aquila, faticosamente, procede. A stentare è il ritorno alla vita vera. Tornano a splendere chiese e palazzi, i gioielli della città di Federico II. Le periferie sono completate da anni, la ricostruzione privata del centro storico è in fase avanzata, anche se ancora manca tanto. La vera ombra riguarda la ricostruzione pubblica, praticamente al palo, e in particolare quella delle scuole: nessuna ad oggi è stata ricostruita, una è in ricostruzione, la Mariele Ventre.
Restano come nel 2009 gli scheletri delle vecchie scuole, abbandonate e non demolite, dalla Mazzini alla Carducci all'Istituto d'arte Muzi. Da diversi anni sono disponibili 44 milioni ma le uniche scuole ricostruite e rientrate in centro storico sono due private. I bambini e i ragazzi delle tante pubbliche vanno ancora a lezione nei MUSP, i Moduli ad Uso Scolastico Provvisorio che nel settembre 2009 fecero fronte all'emergenza. "Sono pur sempre lamiere", sottolinea Silvia Frezza della Commissione Oltre il MUSP. Ci sono dunque bambini e ragazzi che non hanno mai conosciuto una scuola vera.
L'Aquila è passata dalla fase emergenziale ad una ordinaria senza considerare che qui la ricostruzione pubblica avrebbe bisogno di norme differenti, afferma il sindaco dell'Aquila Pierluigi Biondi, il quale ha da poco archiviato una crisi nella giunta. Senza considerare "le farraginosità del nuovo Codice degli appalti. Quello che ho a più riprese chiesto al governo – è l'appello del primo cittadino - è la possibilità di ricorrere a procedure più snelle e veloci, ovviamente sempre nell'ambito di un quadro normativo rispettoso della legalità”.
Un discorso a parte va fatto per le 60 frazioni del capoluogo: ad esempio Onna, Paganica e Tempera mostrano evidenti i segni dei ritardi. In alcuni luoghi il tempo sembra essersi fermato alle 3:32 di quel 6 aprile di 10 anni fa. Il dato complessivo dei contributi concessi per tutte le frazioni è pari a 1.627 istruttorie per un totale di 6.765 unità immobiliari. Per le frazioni Il Comune assicura di essere prossimo a varare misure “in grado di dare nuovo impulso all’approvazione delle pratiche e ad avviare i cantieri in tempi rapidi”. Discorso simile per alcuni dei 56 Comuni del cosiddetto cratere sismico, di cui non si parla quasi mai, dove la ricostruzione muove appena i primi passi.
In che stato si trovano le 19 New Town, che dal 2009 furono costruite per ospitare 16 mila aquilani? Molte già dagli anni scorsi hanno perso pezzi, come a Cese di Preturo dove sono caduti i balconi e sono stati messi i sigilli. In quelle ancora in buono stato e nei Map, le casette monofamiliari di legno, vivono ancora tremila sfollati. Di sicuro questa redistribuzione della popolazione ha contribuito a dilatare la città lungo un asse viario di oltre 30 chilometri, con incremento esponenziale dell'uso dell'automobile.
C'è poi la ricostruzione immateriale. Il sisma è un trauma che incide per decenni sulle comunità e la vita all'Aquila è segnata per sempre da un prima e da un dopo terremoto, una sorta di terreno avanti e dopo Cristo. E quel dopo è ancora molto lontano dalla vita di prima. Il cuore della città è il più grande cantiere d'Europa e come tale è un enorme dedalo di vie, circa 177 ettari, percorse da mezzi di operai e betoniere, dove è assordante l'eco dei martelli pneumatici ma non si sentono gli schiamazzi di bambini. Il centro storico è ancora praticamente disabitato: vive di giorno con gli operai e la sera del fine settimana con la movida. Hanno aperto circa 80 attività commerciali, un dato ben lontano, ricorda Confcommercio L'Aquila, dalle oltre mille botteghe di prima del terremoto.
Questi pionieri che hanno scommesso sulla ripartenza del centro storico sono oggi a rischio chiusura, scontano l'assenza di residenti. Quello che chiedono a gran voce è la realizzazione di parcheggi, il rientro di uffici pubblici, banche e poste per far tornare un flusso. Il Comune sta lavorando sul rientro di alcuni enti e su tre grandi posteggi ma i tempi non saranno brevi. Il sindaco respinge al mittente le critiche di chi parla di “città ferma". Quello dell'Aquila, ricorda, è "il più importante esempio di rigenerazione urbana dal dopoguerra ad oggi".
A 10 anni dal terremoto all’Aquila la ricostruzione delle scuole, il luogo del futuro, è all’anno zero: una sola è in ricostruzione, la primaria Mariele Ventre nel quartiere periferico di Pettino. Le uniche due ricostruite e tornate in centro sono due private. Intanto restano come scheletri gli edifici in muratura abbandonati dopo il terremoto, ma con ancora dentro fascicoli e pagelle: dalla Mazzini alla Carducci all'Istituto d'Arte Muzi. Sono ancora lì, luoghi spettrali non ancora demoliti.
Ci sono un paio di piccole, felici, eccezioni. Una scuola ricostruita nella frazione dell'Aquila Roio e un'altra realizzata già nel 2009, a meno di 100 giorni dal terremoto, anche grazie al contributo di alcuni privati tra cui Barilla: è la Cittadella Scolastica antisismica e a impatto zero del comune di San Demetrio, a 15 km dall'Aquila. A parte questo, migliaia di bambini e ragazzi della pubblica all'Aquila vanno dunque a scuola nei MUSP, i Moduli ad Uso Scolastico Provvisorio consegnati nel settembre 2009 per fare fronte all’emergenza. Eppure per gli istituti scolastici sono disponibili da anni almeno 44 milioni.
“Il problema non è di mancanza di fondi ma di carattere amministrativo e politico. Purtroppo non c’è neanche un dibattitto su dove ricostruire le scuole - afferma Massimo Prosperococco, portavoce del Comitato Scuole Sicure L’Aquila -. Sono stati proposti tanti luoghi, dalla ex Caserma Rossi all’ex Ospedale di Collemaggio, ma finora nulla di concreto. Solo per fare un esempio, la vita di mio figlio è stata quella di tanti studenti terremotati: aveva 9 anni nel 2009, ha fatto le medie in una scuola che non aveva indici di vulnerabilità misurati, ha frequentato le superiori in un liceo con bassi indici di vulnerabilità, ora finalmente è iscritto all’Università. Purtroppo, come quasi tutti gli studenti, anche se non è successo nulla, non ha mai frequentato una scuola davvero sicura”. Quanto tempo ci vorrà ancora? “I tempi tecnici della ricostruzione di una scuola, salvo imprevisti e ricorsi che spesso allungano le previsioni, sono di circa 4 anni: uno di progettazione e tre di realizzazione. Noi ancora siamo in una fase molto lontana dalla progettazione. Se tutto fila lascio potremo vedere la realizzazione di una scuola superiore fra otto anni”.
“C'è un gioco a rimpiattino e non abbiamo una risposta. Noi pensiamo sia una manifesta incompetenza ad agire”, dichiara Silvia Frezza della Commissione Oltre il Musp. Sono poi stati fatti due concorsi per assumere personale specializzato per la ricostruzione. “Il sindaco – prosegue Frezza - ci ha detto che questa task force da lui tanto voluta in campagna elettorale era stata ridotta a 2-3 persone causa trasferimenti, maternità e altre ragioni. Quindi manca personale, lo ha detto il sindaco”.
“Da 10 anni – ricorda Frezza - lavoriamo nelle lamiere. Perché se elegantemente sono chiamati Musp, sono pur sempre container”. Come riportato nei reportage degli anni scorsi, nei Musp ci sono infiltrazioni, tetti che si avallano con la neve, fogne ostruite. “Sono lamiere – prosegue Frezza - che non offrono spazi adeguati: non ci sono laboratori, molti non hanno le palestre. I bambini, in questi casi, o non fanno educazione motoria o la fanno negli atri, a nostro rischio e pericolo. Quest’anno, ma solo per una scuola, abbiamo ottenuto di poter trasferire i bambini da un Musp all’altro per le ore di ginnastica. Ci sono bambini e ragazzi, quindi, che non hanno mai conosciuto una scuola vera, oltre che una città vera. E’ vero che la ricostruzione privata sta andando avanti, è vero che la città con i suoi palazzi sta tornando, ma non c’è la città vera. Mancano biblioteche, spazi di incontro per i giovani”.
L’amministrazione Biondi - chiusa l'era Cialente, il sindaco è in carica dal 2017 - ammette le difficoltà dovute alla mancanza di personale. Ma quali sono i progetti per le scuole? A novembre 2018 l’amministrazione ha approvato il nuovo Piano di riassetto scolastico, con cui si è scelto di realizzare dei poli nelle aree est e ovest del territorio, bandendo due concorsi di progettazione. Inoltre, spiega il sindaco, “abbiamo compensato lacune legate a una programmazione obsoleta. Su un istituto, ad esempio, è stato necessario ripartire da zero perché la progettazione delle aule era sottodimensionata e non prevedeva spazi per le lezioni di musica nonostante la scuola abbia un indirizzo musicale”. A giorni cominceranno i lavori per la scuola nella frazione di Arischia. La giunta Biondi prevede inoltre che alcune scuole tornino in centro storico o in aree vicinissime al cuore della città. La giunta Biondi rivendica anche finalmente l’avvio, sugli edifici scolastici, delle verifiche per la valutazione dell'indice di vulnerabilità sismica.
Ad oggi però, quando nel decennale del terremoto si tirano i bilanci, la mancata ricostruzione delle scuole è forse la peggiore ombra sull’Aquila perché è nelle scuole che si gettano i semi per il futuro.
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Tra i luoghi simbolo del terremoto all’Aquila c’è la Casa dello Studente. Qui sono morti otto ragazzi. “Non per il terremoto – precisa Antonietta Centofanti, presidente del Comitato Familiari Vittime – ma perché si era costruito male e non si era fatta opportuna messa in sicurezza, come ha stabilito una sentenza in Cassazione”. Antonietta Centofanti nel crollo dello studentato ha perso il nipote Davide. “Il suo ricordo e quello degli altri ragazzi - afferma - si intreccia con la nostalgia e con l’amarezza dei ricordi e degli ideali spazzati via. Erano ragazzi pieni di idee e di buone intenzioni, sarebbero stati una ricchezza per questo Paese e invece questo Paese li ha uccisi”.
Antonietta Centofanti è stata sempre in prima linea nei comitati cittadini, portando alla ribalta nazionale le questioni della prevenzione sismica, della tutela del territorio. A lei chiediamo se è cambiata in dieci anni la comunicazione del rischio sismico. “Certamente - replica -. L'Aquila è stata dolorosamente apripista. La comunicazione qui è stata fallace. Anche in questo caso ci sono delle sentenze: il numero due della Protezione civile è stato condannato proprio per questo. Oggi la comunicazione del rischio è più attenta, spesso va anche oltre. Forse, se ciò fosse successo all’Aquila, non staremmo a piangere 309 morti”.
Sulla prevenzione e sulla cura del territorio “temo invece che L’Aquila sia una lezione mancata – prosegue Centofanti -: all’Aquila le scuole non sono ricostruite e quelle che sono in piedi non hanno ben chiaro quale sia il loro indice di vulnerabilità. Ma il tema della sicurezza delle scuole purtroppo si riflette nello stesso modo a livello nazionale. Eppure le scuole sono il luogo del futuro e i politici dovrebbero avere molta attenzione perché è il futuro che mettono a rischio”.
Ma all’Aquila, dieci anni fa, sono morti anche 55 studenti fuori sede di cui si è sentito parlare troppo poco, sono stati ingiustamente messi in secondo piano nel racconto del terremoto. Sono ragazzi che occupavano stanze o case prese in affitto per poter frequentare le lezioni all’Università. Nicola Bianchi, tra loro, è quello di cui in questi anni si è parlato di più, grazie alla tenacia del padre Sergio. Nicola è morto in una palazzina di via D’Annunzio 21, quartiere Villa Comunale, una zona centralissima dell’Aquila. Nicola era al secondo anno di biotecnologie ed era molto studioso. Quando nel fine settimana o durante le festività tornava nel suo paese in provincia di Frosinone, Nicola continuava a studiare. “Alle 4 di notte lo trovavo chino sui libri e dovevo costringerlo a mettersi a letto”, ricorda con nostalgia il padre. Era uno studente modello, amava leggere, era curioso. E cos’altro gli piaceva fare? Praticava arti marziali ma con poco entusiasmo. Ciò che amava davvero era lo studio. La sua specializzazione, così sognava Nicola, sarebbe stata nelle energie rinnovabili. Avrebbe voluto rendere più pulito questo mondo. Nicola come questi altri ragazzi, studiosi e curiosi, era la meglio gioventù ma a loro il futuro è stato negato.
“Quando torno all’Aquila vado solo dove devo andare, non giro la città. Invece una volta sono voluto andare dove è morto mio figlio e non lo avessi mai fatto. Mi ha fatto male vedere una palazzina tutta ricostruita. Non poteva essere così prima? Sul contratto firmai per l’affitto di un appartamento interamente ristrutturato ma lo stabile non era affatto stabile ed è crollato. Nonostante tutto non siamo arrivati ad una sentenza perché il processo penale è andato in prescrizione: non c’è nessun colpevole. E poi c’è stata la beffa: dopo la morte di mio figlio i proprietari mi hanno fatto pagare affitto e bollette fino al 6 aprile 2009”.
Il papà Sergio ha creato, insieme a 12 genitori di ragazzi morti all’Aquila, l’Associazione Vittime Universitarie del Sisma 6 aprile 2009 (AVUS), che ogni anno assegna un premio di laurea per la migliore tesi sulla prevenzione sismica cui partecipano facoltà universitarie da tutta Italia, da geologia e ingegneria a giurisprudenza. Bianchi spera che almeno si tragga insegnamento da quanto accaduto. “Spiace che per il premio di laurea si sia interrotta la collaborazione con l’Ordine nazionale dei geologi, non per nostra volontà”, spiega Sergio Bianchi. In questi 10 anni molti di quei 12 genitori dopo il lutto si sono ammalati e sono morti, qualcun altro ha perso la fiducia, perciò oggi Bianchi è quasi solo nel portare avanti l’associazione AVUS, che attraverso eventi in tutta Italia - oltre che con il premio di laurea - sostiene una vera e propria campagna itinerante nel Paese, tra i giovani, sull’importanza della prevenzione sismica.
"Sono deluso dal sistema giuridico. Il processo penale è andato in prescrizione perché le motivazioni sono state consegnate oltre i termini. Nel processo civile ci hanno fatto spendere soldi per un certificato per danno biologico, in pratica una perizia psichiatrica per dimostrare il dolore subito. Ci eravamo costituiti parte civile nel processo Grandi Rischi ma siamo stati esclusi: dovevo dimostrare che mio figlio prima del sisma aveva paura e poi, dopo la comunicazione della Commissione Grandi Rischi, era stato davvero tranquillizzato".
"Dico solo che mia figlia aveva 16 anni quando è morto suo fratello e soffre ancora oggi. Soffre in silenzio, non parla con nessuno di quello che è accaduto e di quello che ancora sta accadendo. Lei nel 2009 suonava la chitarra elettrica, era una vera passione. Una settimana prima del terremoto ha suonato ad un concerto e in prima fila, a sentirla, c’era Nicola. Dopo il terremoto mia figlia non ha più preso in mano quella chitarra. L’ha messa sotto il letto del fratello e da quel momento non ha più suonato. Varie volte ho chiesto a mia figlia se fosse giusto ciò che stavo facendo, se dovevo continuare a battermi per ottenere giustizia. Lei mi ha sempre detto di andare avanti ma di ciò che è accaduto non parla".
In cosa trova la forza di andare avanti? "La trovo nel ricordo. Io non voglio metabolizzare. Stamattina l’avvocato mi ha detto che il giudice del processo civile ha intenzione di accelerare con le udienze. Ma se negli ultimi due anni non ha neanche precettato i testimoni! Ha fissato alcune date tra aprile e maggio, proprio ora che cade il decennale. A pensar male…”.
"Alle volte lavoro su di me per cercare di capire", dice Sergio, il quale nello Stato non crede più. "Lo Stato si è dimenticato di noi. E' più importante la ricostruzione delle case. Noi siamo stati abbandonati. Io mi sono dovuto pagare anche lo psicologo".
C’è una proposta di legge, recentemente presentata dai deputati Stefania Pezzopane, Chiara Braga e Fabio Melilli, che chiede un risarcimento economico ai parenti delle vittime dei terremoti del 2009 e del 2016-2017. "Abbiamo già una proposta al vaglio dei tecnici", ha fatto sapere Vito Crimi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla Ricostruzione. In questo limbo di dolore le famiglie aspettano da dieci anni.
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All'inizio del 2009 all'Aquila era in atto uno sciame sismico che durava da mesi, con oltre 254 scosse fino ad aprile. Il 30 marzo vi fu la famosa riunione della Commissione Grandi Rischi perché la situazione era allarmante. "Erano giorni di angoscia. Ero preoccupato per la città – racconta l'allora sindaco Massimo Cialente -. La notte del 6 aprile, alle 3:32, arrivò la scossa tremenda. Aprii la porta di casa: il centro storico era un fungo atomico di polvere gialla. Mia suocera dice che gridai ripetutamente: L'Aquila è finita. Intorno alle 4 lasciai la mia famiglia in un'area sicura e la rividi per 20 minuti, due giorni dopo".
La notte del 6 aprile Cialente girò con la Protezione civile per individuare le aree per le tendopoli. Solo il Comune dell’Aquila aveva 75 mila sfollati. L'ex sindaco riavvolge il film: "La notte passavo anche tra le frazioni e lungo le tendopoli addormentate. Ricordo che giravo nel centro dell’Aquila: una volta, nel buio totale, mentre ero da solo, con la luce di una torcia vidi, attraverso la vetrina di un negozio, dei manichini caduti uno sopra all’altro; mi ricordavano i corpi sotto le macerie e provai angoscia e paura. Ogni tanto cadevano pietre per le scosse che continuavano. In giro c’era solo qualche gatto. Mi si apriva il cuore quando vedevo i militari che presidiavano il centro".
Secondo Cialente il momento più difficile di questi 10 anni, "perché segnò il punto più basso del destino di questa città, fu quando Berlusconi firmò un’ordinanza - della quale non c’è traccia perché venne poi stracciata - con la quale veniva spostato tutto ciò che non fossero gli uffici comunali e le scuole dell'obbligo. Uffici, reparti ospedalieri, centri di ricerca, ma anche personale, prioritariamente per chi aveva la casa maggiormente distrutta: tutto sarebbe stato trasferito nelle vicine Pescara, Chieti, Teramo, Avezzano. La città sarebbe morta, oggi sarebbe un borgo di 15 mila persone. Stavo chiamando gli aquilani alla rivolta: fu uno scontro durissimo con Berlusconi. Riuscii alle 2 di notte a svegliare il premier, attraverso Gianni Letta, e a far cancellare quell’ordinanza. Il giorno per me più bello fu quando grazie al restauro del Fondo Ambiente Italiano (Fai) fu inaugurata nel 2010 la Fontana delle 99 Cannelle, uno dei simboli dell’Aquila: l’acqua che cominciò ad uscire fu una sorta di musica e il primo segno che tornava qualcosa".
A dieci anni di distanza Cialente ha scritto un libro, insieme alla giornalista Antonella Calcagni, dal titolo “L’Aquila 2009, una lezione mancata”. Scriverlo, dice, è stato “un dovere civile: quello che è successo qui non può capitare ancora. In Italia abbiamo una grandissima Protezione civile, tra le prime al mondo. Ma anziché attrezzarsi anche a prevenire questo Paese si è interessato solo a chi interviene nell’emergenza, come un medico che non fa prevenzione. La prevenzione sarebbe un nuovo modello di sviluppo, anziché spendere 3 miliardi l’anno per porre riparo ai danni dei terremoti. E in ogni caso non ridai vita alle vittime ed è un colpo di arresto per le comunità che dura per decenni”. Cialente sottolinea che in Italia manca ancora una legge quadro che spieghi “cosa si intende per emergenza, cosa fare e quando si passa alla fase successiva, come si fa a mantenere le comunità, se fare Map o Progetti Case (le cosiddette New Town). Serve poi un’unica legge per la ricostruzione: nel 2017 nell’Alta Valle dell’Aterno si sono persi mesi per capire se si deve ricostruire con la vecchia legge del 2009 o con la nuova”.
In Italia, chiede l’esponente Pd, “perché non si individua cosa ha funzionato e cosa no, all’Aquila come nel Friuli, e da questo studio si ricavano le best practice? Perché nessuno si sofferma su quello che è accaduto all’Aquila? Oggi non c’è la maturità politica di dire cosa è andato bene e cosa male. Il terremoto del 2009 è avvenuto in una fase storica di scontro politico assoluto. Il governo e tutto ciò che era filogovernativo - prosegue Cialente - dicevano che qui tutto andava bene. Fatto sta che quando le cose cominciavano ad andare male era colpa degli aquilani ‘magna magna’. Chi era contro il governo Berlusconi diceva fin dall’inizio che qui tutto era sbagliato. Come in un derby in un cui i tifosi delle due curve sono accecati dal tifo senza vedere l’oggettività della partita”.
Come vede oggi la città? “Siamo in una battura di arresto. La città - dichiara l'ex sindaco - è ripiegata su se stessa. E’ una città convalescente: come avere un paziente in rianimazione che ha un’influenza. Stiamo perdendo molti giovani. È la provincia con il più alto numero di laureati ma questi giovani vanno via. Lasciai un aereo che stava decollando ora la ricostruzione si è fermata”.
Cosa manca all’Aquila oggi? "Chi guida deve avere un piano strategico, condiviso con la comunità, io lo chiamo il puzzle, e all'Aquila questo manca. C'è grande silenzio, nessun dibattito, rassegnazione. La mancanza di aspettativa – afferma Cialente - è come un cancro per la comunità. L’Aquila non se lo può permettere perché ha ancora molte ferite. Abbiamo un problema drammatico che è la riabilitazione del centro storico: perché se non torna a vivere il centro storico L’Aquila non sarà mai ricostruita davvero, sarà un’altra cosa. L’Aquila nasce come federazione, la leggenda dice con i 99 castelli. Io sto dando fastidio anche all’attuale opposizione che vorrebbe che mi ritirassi in buon ordine. Ma sto male nel vedere che si sta fermando un processo di rigenerazione. C’è una crisi occupazionale gravissima. Mi arriva un segnale che sto verificando: un’improvvisa riduzione del numero di abitanti".
Cosa fa oggi Cialente? “Tante cose: ho scritto il libro, mi occupo di economia circolare, faccio il medico, curo il giardino e l’orto”, dice con ironia. Trapela una voglia di tornare in prima linea. Si ricandiderebbe sindaco un domani? “Non credo, non lo so… - risponde - In un paese normale si deve tornare alla trasmissione dell’esperienza politica ai più giovani. Preferirei questo piuttosto che avere un ruolo. E’ però importante che i giovani che vogliono fare politica studino molto, perché abbiamo un problema di formazione della classe dirigente”.
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"C'è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce". Leonard Cohen
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Tra i cantieri in fase finale nel cuore dell'Aquila c'è quello della Chiesa di San Silvestro, edificio in stile romanico che con il terremoto del 2009 aveva subito danni significativi. Abbiamo preso ad esempio questo restauro per vedere come si procede dopo un sisma. Lo abbiamo chiesto all'architetto del MIBAC, il direttore dei lavori Augusto Ciciotti, facendo un sopralluogo nel cantiere.
Dalle prime settimane dopo la scossa è stata fatta la messa in sicurezza, grazie ai Vigili del Fuoco, coordinati dal Ministero. Il restauro ha poi riguardato il ripristino di una solidità e staticità globale, il campanile e le murature perimetrali, la facciata, le archeggiature, i pilastri circolari, anche le absidi e la loro copertura.
Nel rimuovere intonaci anni '70 e '80 sono rinvenuti affreschi sulle pareti laterali. Uno dei rinvenimenti più antichi e significativi è stato fatto nel locale sacrestia: si tratta di affreschi presumibilmente duecenteschi, cosa che fa ipotizzare che un primo impianto della Chiesa fosse in questa zona.
All'interno di San Silvestro si trova la Cappella della Famiglia Branconio, molto danneggiata dopo il sisma. "E' stata fatta fin dalle prime settimane dopo il sisma una raccolta di migliaia di piccoli frammenti dei dipinti, un'opera dei restauratori straordinaria", ci tiene a far sapere con orgoglio l'architetto. In questa cappella c'è una pala d'altare, una copia della Visitazione di Raffaello, che attualmente è nei depositi e verrà presto ricollocata. L'originale di Raffaello, invece, trafugato nel 1600 dagli spagnoli, si trova al Prado. Il segretariato regionale del MIBAC ha inviato una richiesta al ministro Alberto Bonisoli affinché si possa avviare una soluzione diplomatica con il governo spagnolo e il museo madrileno per riavere l'opera.
La facciata di San Silvestro ha richiesto un notevole impegno sia per il miglioramento strutturale sia per il restauro degli apparati decorativi e scultorei, del portale ligneo cinquecentesco, del grande rosone.
Si possono conciliare bellezza, arte e sicurezza sismica? "E' assolutamente possibile - replica l'architetto -. La ricerca scientifica è molto avanzata. Le esperienze dei terremoti del passato hanno consentito di mettere a punto metodologie di rispetto compatibili riproponendo in molte situazioni in chiave moderna tecniche tradizionali antiche di secoli. Non può essere sempre introdotto in strutture storiche l'innovazione ma solo dove è possibile. La città è sicuramente più sicura. Grandi sforzi finanziari sono stati messi in campo dai vari governi. Le risorse umane specialistiche e professionali hanno dato il meglio. Tutti i monumenti sono stati portati ad un miglioramento sismico.
Il finanziamento complessivo di questo lotto di lavori è di 6 milioni e 700 mila euro lordi, ma i costi finali sono inferiori perché vanno tolte le spese tecniche. Per l'aggiudicazione dell'appalto c'è stata un'associazione temporanea di imprese (Ati) tra la Gaspari Gabriele Srl e, per la parte dei restauri, Consorzio Officina di Roma. La chiesa verrà restituita al pubblico probabilmente a giugno 2019, nell'anno del decennale.
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In centro storico all'Aquila vivono ancora pochissime famiglie, nonostante le case del cosiddetto 'asse centrale' siano pronte. Questo perché è difficile resistere in un grande cantiere. Qui hanno riaperto circa 80 negozi: un dato ancora ben lontano dalle oltre mille botteghe di prima del terremoto che rendevano il cuore della città un luogo vivo. I clienti affezionati vengono quindi da fuori. Dal momento che L'Aquila in questi dieci anni si è dislocata altrove, lungo un asse viario periferico di oltre 30 chilometri, l'automobile è il mezzo di trasporto più usato. Per parcheggiare in centro, un luogo dal quale un aquilano non può stare lontano per una questione identitaria, bisogna però preventivare la presenza di cantieri, strade chiuse, soste vietate, camion e auto degli operai, assenza di parcheggi.
Ecco dunque che i commercianti che hanno scommesso sulla ripartenza del centro storico cominciano ad andare in sofferenza. "La ricostruzione strutturale procede velocemente ma - lamenta il fotografo Roberto Grillo - c'è una disattenzione per la ricostruzione immateriale. Come commercianti, di solito presenti dove c'è gente, siamo un'anomalia perché siamo quelli che attendono la gente. E allora bisogna invertire la tendenza radicata in questi 10 anni che vede gli aquilani, contrariamente a prima del sisma, vivere e fare acquisti fuori".
Quali azioni andrebbero intraprese? "Innanzitutto - afferma Celso Cioni, direttore regionale Confcommercio - bisogna riportare in centro uffici pubblici, banche, assicurazioni, poste, scuole. Oggi manca il flusso che c'era prima del sisma". Nel centro dell'Aquila, infatti, non solo si viveva ma si veniva anche da fuori a lavorare e a studiare. "E poi - aggiunge Cioni - servono servizi, soprattutto e subito i parcheggi, che in 10 anni si potevano fare. Servirebbero più trasporti pubblici per chi abita nelle periferie. Inoltre - prosegue - ci sono gli affitti da calmierare, i prezzi sono insostenibili. Ci vuole una concertazione tra proprietari e amministrazione comunale".
Tra i negozianti del centro c'è stanchezza e delusione. "Siamo stati i primi a riaprire l'8 luglio 2010. Eravamo in via Leosini, piena zona rossa. Molti ci dicevano che eravamo pazzi. Oggi è difficile sopravvivere perché, tra negozianti e residenti, in centro siamo pochissimi", afferma il titolare della macelleria Palumbo in via Garibaldi. "Avere un'attività in centro non è facile perché la città ancora non riparte. Ci vogliono ancora 10-20 anni di cantieri. Chiediamo che la ricostruzione sia più veloce. Forse è stato sbagliato ricostruire a macchia di leopardo", commenta Chicco Nurzia, proprietario dello storico bar Fratelli Nurzia.
"Crediamo nel centro storico ma qui ancora è disabitato - dicono Elisa e Valentina, della libreria per bambini Piripù - pertanto chiediamo parcheggi e eventi perché qui c'è solo movida serale ma la città deve vivere anche di giorno".
Mentre nel centro storico ci sono decine di cartelli affittasi e vendesi di locali ristrutturati ma ancora mai riaperti, e mentre molti commercianti 'pionieri' rischiano la chiusura, si discute del progetto di nuovi centri commerciali in periferia. "Una totale contraddizione" , commenta Cioni di Confcommercio. "Si può fare tra 5 anni, non ora. Manca sensibilità verso un centro storico che oggi ha bisogno di energie. Spero che il Comune rifletta", dice il fotografo Grillo. "Crediamo più in un centro commerciale diffuso nel centro storico così come era L'Aquila prima del terremoto", commentano le libraie Elisa e Valentina.
Il sindaco Biondi vuole rassicurare: "Non aprirà nessun nuovo centro commerciale, ma la proposta che è stata approvata in giunta e dovrà essere approvata nella commissione territorio e poi dal Consiglio comunale, è quella di un 'parco commerciale' da 2.500 metri quadrati. Il centro storico ha bisogno che tornino uffici pubblici e stiamo lavorando per ricollocare alcuni di questi nella ex sede Inps, mentre entro la metà del 2020 verrà finita la ricostruzione di Palazzo Margherita, la sede del Municipio".
Quanto alla carenza di parcheggi, il primo cittadino fa sapere: "Abbiamo approvato il progetto per un parcheggio nei pressi della Basilica di San Bernardino e siamo in trattativa per acquisire un'area, quella di Porta Leoni, dove immaginiamo un secondo parcheggio. Stiamo lavorando per ripristinare il megaparcheggio di Collemaggio che è collegato direttamente con Piazza Duomo".
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