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Viaggio tra i cristiani del Pakistan
In Pakistan sui banchi di scuola insegnano che nel Paese sono tutti musulmani. Comincia da qui l’emarginazione delle minoranze tra le quali c’è quella cristiana, due milioni di persone, poco più dell’1% nel Paese che conta quasi 200 milioni di abitanti
Se il nome di Asia Bibi, la pakistana cristiana assolta dalle accuse di blasfemia dopo nove anni nel braccio della morte, ha fatto il giro del mondo, ci sono decine di casi come il suo che vivono un quotidiano calvario, tra il carcere e le lungaggini giudiziarie. Secondo i dati forniti dalla Commissione nazionale di Giustizia e Pace della Conferenza episcopale pakistana, oggi sono 220 i cristiani che si trovano nella stessa situazione in cui si trovava Asia Bibi prima di essere assolta. Su di loro pesa una condanna a morte. "Il caso Asia Bibi è importante, può davvero essere una svolta, ma noi dobbiamo continuare a sostenere legalmente i tanti cristiani che si trovano in quella stessa situazione", sottolinea la Commissione dei vescovi. E ora le pronunce dei giudici vanno a rilento "perché hanno paura, paura di sbagliare - dice il direttore Cecil Chaudhry - ma anche paura di essere attaccati dai fondamentalisti". Le pronunce a favore della donna cristiana hanno infatti scatenato imponenti manifestazioni di protesta da parte dell'ala più radicale dei musulmani.
La legge sulla blasfemia considera un reato ogni ingiuria contro la religione islamica ma spesso è usata come un pretesto. Padre Emmanuel Yousaf, presidente della Commissione, porta come esempio l'attacco del 2013 alla St. John Colony, uno dei quartieri cristiani di Lahore, quando furono date alle fiamme 296 abitazioni, come ritorsione ad un presunto atto di blasfemia: "La realtà era che volevano appropriarsi del terreno, considerata la vicinanza del quartiere con le fabbriche di siderurgia".
La Commissione Giustizia e Pace si occupa anche del sostegno a quelle persone che si convertono dalla religione islamica al cristianesimo. La legge non lo vieta ma poi lascia le persone in balia delle loro famiglie d'origine. E' il caso di Angela (nome di fantasia) che ha abbracciato la religione del marito lasciando l'Islam. Ora è costantemente minacciata dal fratello. "Chiunque qui può uccidere una persona che si è convertita, la mia casa è da anni una prigione dalla quale non posso uscire liberamente, non abbiamo amici. Non ho dubbi su quello che ho fatto, sulla mia fede in Cristo, ma ora cerco una sicurezza per i miei figli" dice sperando di ottenere un visto per ricostruire una vita all'estero.
A raccogliere le testimonianze in Pakistan è stata di recente la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre che sostiene diversi progetti per i cattolici del Paese, erogando aiuti per 4 milioni di euro. "Siamo andati in Pakistan per manifestare solidarietà - sottolinea il direttore di Acs-Italia, Alessandro Monteduro - ad una comunità cristiana che soprattutto recentemente ha sofferto una serie di attacchi che non abbiamo timore a definire anticristiani. Siamo andati a far sentire loro la nostra vicinanza. Lo facciamo quotidianamente con i nostri progetti, progetti che hanno aiutato in diversi modi le comunità cristiana, anche con l’assistenza legale e l’assistenza medica. Ma ci sono momenti in cui bisogna stringere le mani e abbracciare chi, solo per la sua fede, è costretto a subire forme di oppressione inaccettabili".
Padre Edward Thurai tutti i giorni si reca alla fornace dove si fabbricano i mattoni, alla periferia di Lahore, Pakistan. Lì si lavora 12 ore al giorno per 4-5 euro e l'anziano religioso, degli Oblati di Maria Immacolata, da 40 anni strappa i più piccoli, spesso anche solo di 4-5 anni, a un lavoro praticamente da schiavi per portarli a scuola. Contratta con le famiglie, poi, grazie alle offerte che gli arrivano, paga rette, libri, divise. 'I bambini devono avere in mano libri, non mattoni', dice spiegando che l'istruzione, in un Paese in cui il tasso di alfabetizzazione e' pari a circa il 50%, è l'unica via di riscatto da una vita di sicura schiavitù. Situazione, questa, che riguarda soprattutto la minoranza più a rischio nel Paese, quella dei cristiani. Con orgoglio racconta che una di quelle bambine che ha aiutato a studiare oggi è negli Stati Uniti ed è ingegnere alla Nasa.
Da Lahore a Karachi sono decine le scuole aperte dalla Chiesa cattolica, e centinaia le suore e i preti, i 'don Bosco' di oggi, che vanno per le strade a convincere le famiglie a mandare i ragazzi tra i banchi di scuola. A Karachi ci sono tre scuole dentro il compound dell'arcivescovado, una per bambini orfani, una per le ragazze e un college per gli studi superiori. Ma finito l'orario scolastico un gruppetto di tre suore esce dai cancelli per portare la scuola ai ragazzi che vivono per strada. “L'educazione è la priorità, è l'unica via per pensare ad un futuro diverso, per sperare in una convivenza fatta di armonia, e nelle nostre scuole vengono infatti non solo cristiani ma anche ragazzi musulmani', dice il cardinale di Karachi, Joseph Coutts.
C'è una scuola anche nel sobborgo più povero della città, Essa Nagri (tradotto dall'urdu 'il quartiere di Cristo'), dove i cristiani si sono ammassati per sentirsi più sicuri. Un quartiere dove le fogne sono a cielo aperto, i collegamenti elettrici precari e anche la sicurezza non è sempre garantita. Nel 2016 furono uccisi cinque ragazzi cristiani dai fondamentalisti islamici. Da allora è stato innalzato un muro di divisione. Una barriera che protegge ma anche isola in quello che di fatto è un ghetto.
Poco fuori, nel quartiere Gulshan Igbal, c'è la scuola San Filippo: 800 i bambini, cristiani e musulmani insieme, che accedono ad un insegnamento di livello alto, in lingua inglese. Qui “cerchiamo di insegnare soprattutto il rispetto, la convivenza, la dignità'', spiega il viceparroco, padre Joseph Saleem.
C'è infine anche una storia 'made in Italy': suor Agnese Gronis, 76 anni, nata sulle Dolomiti del bellunese, da 38 anni vive in Pakistan e gestisce con tre consorelle una libreria delle Paoline a Karachi. Tra gli scaffali si trovano il Vangelo in urdu, la 'Bibbia del fanciullo' pubblicata da Acs in tutte le lingue, rosari. Ma anche libri di favole, testi scolastici e romanzi perché “l'istruzione è una forma di carità'', spiega la religiosa. Suor Agnese confida: “All'inizio non volevo stare qui, non sapevo come comportarmi. Ma è questa ora casa mia. Anzi quando torno d'estate sul Col di Lana mi rendo conto che non sono più abituata neanche a quel freddo delle nostre montagne”.
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Tutto comincia nel 14 giugno del 2009: Asia Bibi, una cristiana madre di cinque figli, operaia agricola, ha un diverbio con le colleghe musulmane per un bicchiere d’acqua. La lite degenera e viene accusata dalle altre operaie di avere insultato Maometto. Per questo viene arrestata e, anche se non c’è contro di lei nessuna prova, portata nel carcere di Sheikhupura.
L’11 novembre del 2010 viene condannata a morte con l’accusa di blasfemia. La famiglia ricorre all’Alta Corte di Lahore. Il 22 giugno 2015 anche la sentenza in appello conferma la condanna a morte.
Il caso suscita proteste da parte di gruppi cristiani e di organizzazioni per la difesa dei diritti umani e porta molti pakistani a chiedere di cancellare o rivedere la legislazione nazionale sulla blasfemia. Tra questi il governatore del Punjab, Salmaaan Taseer, che si reca a trovare Asia Bibi in carcere e che proprio per il suo impegno nella revisione delle norme sulla blasfemia viene ucciso il 4 gennaio 2011. Come Salmone Taseer, due mesi dopo, anche il ministro per le Minoranze religiose Shahbaz Bhattti, che era ripetutamente intervenuto sul caso di Asia Bibi, viene assassinato da estremisti islamici.
Il caso della cristiana finisce alla Corte Suprema e il 31 ottobre 2018 Asia Bibi viene assolta. Può lasciare la prigione ma non il Paese a causa delle minacce degli estremisti. Secondo fonti del governo e della Chiesa in Pakistan, Asia Bibi è ancora nel suo Paese, nascosta in una località segreta, in attesa di poter raggiungere l resto della sua famiglia che è già emigrata in Canada.
Decisivo è stato il lavoro del suo avvocato, Saif Ul Malook, musulmano, che a causa di ciò oggi è minacciato anche lui, vive sotto scorta e ha visto stravolgere la sua vita. Ma “lo rifarei”, ha detto ai nostri microfoni in un incontro a Lahore, città nel Nord del Paese.
Ecco la sua testimonianza.
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