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Vedette della tensione

Vedette della tensione

Il Medio Oriente diviso


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

In una selva di telecamere lungo il confine tra Libano e Israele, nell'ultimo avamposto del territorio arabo, un gruppo di caschi blu italiani vigila per mantenere gli equilibri, minacciati spesso da eventi banali

di Lorenzo Attianese


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C'è qualcosa che accomuna un reality ad un plotone di militari per un mese isolati in un posto pieno di parabole e telecamere. Con una imprescindibile differenza: nel secondo caso si lavora per scongiurare lo scoppio di una nuova guerra. Sulla 'blue line', la cicatrice che divide il Libano da Israele, gli italiani della missione Onu chiamata Unifil (United nations interim force in Lebanon) sono impegnati tutti i giorni affinché non ci siano sconfinamenti, equivoci o provocazioni che in un attimo incrinerebbero l'equilibrio instabile, un ossimoro coniato da loro.

   Tra le montagne rocciose sul filo della frontiera a tratti invisibile tra i due Stati, ci sono proprio i peacekeeper del nostro Paese, impegnati nelle basi 1-31 e 1-32 Alfa: sono gli ultimi due avamposti più a sud in territorio libanese, in una foresta di antenne all'ombra del T-wall messo in piedi dal governo israeliano, un muro di cemento alto sette metri e sormontato da due metri di filo spinato, di cui sono stati finora costruiti i primi 17 chilometri. Solo un anno fa i nostri caschi blu della task force di Italbat si sono trovati al centro tra i razzi lanciati dai guerriglieri di Hezbollah e quelli in risposta dell'esercito di Tel Aviv. Il capo Unifil di allora aveva raccomandato "calma e moderazione". Sembra facile ma le scintille nascono da episodi banali, ad esempio gli sconfinamenti di qualche passo per le potature di alberi o cacciatori che cercano selvaggina e si addentrano incautamente: tutte violazioni che vengono poi segnalate durante le riunioni del cosiddetto Tripartito, che si tiene nella 132 Alfa, dove i rappresentanti dei due Paesi dialogano grazie all’intermediazione delle Nazioni Unite. E intanto, dalle torri delle basi, le vedette italiane maneggiano con i propri occhi la fragilità di quest'area, sotto lo sguardo dei binocoli che raggiungono qualsiasi episodio di rischio, tutti segnalati alle Laf, le forze armate libanesi.

"Restiamo qui a vigilare e pattugliare in media per un mese, alternandoci. Certo quello che pesa di più è la lontananza: siamo a duemila chilometri da casa", spiega il maresciallo Andrea Piccirillo, 29 anni di Pozzuoli, uno dei diciotto uomini della base 1-31, che sorge a ridosso del villaggio di Laguné. "Come passiamo il nostro tempo durante il riposo? Ci siamo organizzati e giorno dopo giorno abbelliamo questo posto", dice mostrando all'interno dei prefabbricati bianchi la palestra, l'area bar, il biliardino e le altre sale di svago che i militari hanno contribuito man mano a costruire lasciando un segno del loro passaggio nella base. L'età dei componenti all'interno della 1-31 è varia, dal ventenne alla sua prima esperienza al 45enne, mentre c'è chi adesso aspetta di tornare a casa in attesa che nasca il suo primo figlio.

   Fuori dai presidi si snodano i centoventi chilometri di blue line, ben cinquantadue controllati dal contingente italiano nel settore ovest. A sud sulle montagne a Shama, Naqoura e sulla costa, dove anche il confine in mare è delimitato dalle boe, i lince bianchi con la sigla  nera 'Un' (United nations) e la bandiera con il simbolo dei rami d'ulivo vanno e vengono spesso inglobando le vecchie Bmw di qualche civile che si ritrova casualmente nella colonna. Nella selva ai bordi degli sterrati polverosi ci sono le aree di sminamento, a cui ora da qualche anno lavorano i militari cinesi, mentre a segnare la linea di demarcazione sono i blue pillar, i piloni blu. Di pochi metri più a sud c'è la 'technical fence', la recinzione elettrificata di Israele estesa per ottanta chilometri che ha preceduto la costruzione del T-wall, con la videosorveglianza in cima pronta a scrutare chiunque. Anche qui sulla strada, come in tutto il sud, ai bordi capita di trovare altarini con i ritratti dei martiri della guerra del 2006, foto di ragazzi giovanissimi. Vista dall'alto, la geografia tagliata dalla barriera non mente: da una parte terre incolte o bananeti, dall'altra i campi verdi e rigogliosi di Israele.

   Nonostante il confine da trincea, quella a sud vicino al mare resta comunque una zona dove si investe nel turismo locale, con resort sparsi qua e là, molti dei quali ancora in costruzione, mentre c'è chi scommette sul futuro edificando case da popolare in estate, quasi ignorando la povertà che aumenta. "I libanesi stanno vivendo una crisi di proporzioni storiche. Nonostante tutto noi continuiamo a mantenere la pace", spiega il generale Roberto Vergori, attuale comandante della Joint Task Force Lebanon - settore ovest. Una calma apparente che va oltre le narrazioni tra fazioni religiose o gli interessi di Paesi limitrofi. E da anni si svolge sotto l'occhio del Grande Fratello del Medio Oriente.

I militari tra la gente e la sorveglianza alla frontiera

Unifil
Unifil - RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il Paese nell'abisso della crisi

Unifil
Unifil - RIPRODUZIONE RISERVATA

A Beirut non è insolito vedere delle auto di lusso che girano tra i grattacieli sparsi disordinatamente nei quartieri, per le tante strade buie: la corrente elettrica costa troppo per tenere accesi i lampioni e va lesinata. È il paradosso di un Paese da anni sull'orlo del collasso, dove la benzina diventa un bene che non tutti possono permettersi e in cui mancano le medicine. Nel Libano un dollaro è arrivato a valere quasi le centomila lire locali e i servizi come la luce e internet non sono per tutti. Per questo mentre i giovani guardano all''African dream' alla ricerca di riscatto, i ricchi del Paese intrecciano i propri affari con la politica grazie a banche, edilizia ed energia. 

   "Solo il due per cento della popolazione può permettersi di andare a mangiare fuori al ristorante", spiega Hansen Dbouk, sindaco Tiro, la città più grande del sud povero, con cinquantacinque municipalità e dove ogni giorno qualche commerciante abbassa le serrande senza più rialzarle. "Quelli che girano nelle macchine sportive lavorano in Senegal e Costa d'Avorio" - aggiunge con l'ingenuità di chi crede ad un sogno diventato luogo comune - Da lì tornano con valigie piene di farmaci che qui non si trovano. Ora la sfida è non morire di fame". Dbouk fa il sindaco da più di dieci anni, è esponente del partito sciita di Amal, una versione moderata e rivale di Hezbollah, e nel difendere il suo clan non abbandona i retaggi del settarismo tribale: "Corrotti e criminali? Ci sono, ma ad Amal basta una telefonata per fermarli".

"E le scuole quest'anno non sono proprio ripartite", ammette invece desolato Rabih Kobeissi, il muftì responsabile del centro sciiti di Tiro. Il suo ruolo però gli impone un tabù riguardo ai rischi di radicalizzazione dei giovani e alla crescente povertà della comunità musulmana. Del resto la politica e le diciotto religioni che compongono il mosaico confessionale del Libano, pur convivendo in serenità, non sono mai riuscite a restituire al Paese una visione condivisa del suo passato: "per questo - spiegano - qui i libri di storia non esistono". Non è l'unico problema, ora. Con il Paese paralizzato dallo stallo politico, gli insegnanti in sciopero non tornano al lavoro da mesi: "non ci pagano più lo stipendio e con i prezzi alle stelle servono almeno duecento dollari al mese per sopravvivere".

   I campi profughi sono invece i buchi neri in cui si perdono siriani e palestinesi mentre le file di libanesi disperati in cerca di cure si allungano: sono 15mila al mese. "Abbiamo da poco superato l'emergenza colera ma ora fra i neonati crescono il contagio da gastroenteriti virali e le allergie dovute ai rifiuti in strada", dice Madonna Baradhi, una responsabile della Croce Rossa a cui sempre più spesso si sostituisce Hezbollah, con le sue ambulanze che fanno proseliti tra le famiglie di malati.

   Il Libano è in bilico tra miseria, rabbia sociale e rassegnazione. Ci sono i bancomat dati alle fiamme perché non erogano più dollari, ma c'è anche chi ha smesso di rivendicare i propri risparmi e spera di emigrare nel Terzo mondo. Perché il Quarto sta per cominciare proprio qui.

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Citazione

"Le scintille nascono anche per un passo in più in territorio nemico, per le potature di alberi o cacciatori che sconfinano"

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Sentinelle dei bisogni

Sentinelle dei bisogni

La missione Unifil

Un basco blu italiano della missione Unifil
Un basco blu italiano della missione Unifil - RIPRODUZIONE RISERVATA

La missione Unifil (United nations interim force in Lebanon) dei caschi blu in Libano è nata nel 1978 e oggi rispecchia i termini della risoluzione del consiglio di sicurezza dell’Onu '1701' del 2006, che prevede innanzitutto di monitorare la cessazione delle ostilità con Israele. L’Italia è alla guida del settore ovest, con oltre 3.600 uomini di diciassette dei quaranta Paesi che partecipano alla missione. Il contributo italiano supera le milleduecento unità, delle oltre diecimila complessive. La task force è al momento su base brigata paracadutisti della Folgore, che integra lo sforzo di numerose altre componenti specialistiche delle nostre forze armate. All’interno del comando di Unifil ci sono assetti dell’Arma dei carabinieri e la componente elicotteristica della nostra aviazione dell’esercito, inquadrata in una task force specialistica, che assicura attività di pattugliamento, sorveglianza, ricerca, soccorso e trasporto aereo a favore dell’intera missione.

Questo impegno si inquadra nelle iniziative Onu dell''International support group for Lebanon', che ha l'obiettivo di supportare la stabilità e la sicurezza del Libano. L'attenzione è data in particolare all'aiuto dei rifugiati, all’economia della nazione e alle sue forze armate. L'Italia ha anche avviato delle attività nel settore della formazione del personale militare libanese, con una missione bilaterale, per implementare programmi di formazione ed addestramento delle forze di sicurezza libanesi e costituire un centro di addestramento nel Sud del Paese.

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