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Storia di Amalia e di altre che impiegano troppi anni per avere giustizia sui maltrattamentii subiti
Storia di Amalia e di altre che impiegano troppi anni per avere giustizia sui maltrattamentii subiti
Quando una donna denuncia un uomo violento, che può essere il marito, il compagno, l’ex o uno stalker, secondo le recenti leggi approvate dal Parlamento (ultima la 168 del 2023, successiva al femminicidio di Giulia Cecchettin), lo Stato dovrebbe agire immediatamente per contrastare l'altissimo numero di donne uccise in ambito familiare o affettivo.
Secondo il report della polizia di Stato “Questo non è amore” ogni giorno 85 donne sono vittime di reato in Italia, 4 volte più degli uomini, e per il 55% il reato è commesso da una persona con cui le vittime convivono.
Il Codice rosso del 2019 ha previsto dei tempi contingentati proprio per proteggere le donne che vogliono uscire da un rapporto violento e denunciano. Entro 10 giorni il giudice deve decidere la misura cautelare per il maltrattante e la misura deve essere applicata entro 30 giorni. Per le indagini preliminari c’è un limite di 6 mesi, prorogabile, il problema è il processo. Tutte le associazioni a difesa delle donne ma anche i magistrati denunciano che i dibattimenti durano molti anni e finiscono con l'imprigionare la donna nella propria storia di violenza da cui invece vorrebbe uscire. “Non solo, spesso succede - spiega Teresa Manente di Differenza Donna - che il dibattimento è così lungo che scadono le misure cautelari e la donna è di nuovo a rischio”.
Amelia (nome di fantasia) è cresciuta in Germania a Francoforte, da una famiglia greca. Ad un certo punto decide di tornare nella patria dei genitori e si stabilisce a Salonicco, dove vive per sedici anni. Una laurea, un lavoro, gli amici, una vita da single fino a che su una app di dating non conosce un uomo, un italiano che vive ad Atene. Iniziano a frequentarsi e lei si trasferisce nella capitale. Dopo pochi mesi lui le chiede di andare a Roma con lui perché ha trovato un lavoro.
“Già c’erano dei segnali - racconta Amelia -, gli avevo detto che sarei andata a Salonicco a prendere le mie cose e poi lo avrei raggiunto in Italia, ma lui non mi ha lasciato andare e alla fine sono partita subito con lui in macchina. Mi ricordo in nave mi chiedevo: ‘Ma dove sto andando?’”.
È il 2014 e nel 2016 si sposano. In questi due anni Amelia fa fatica a riconoscere bene i segnali, ma ci sono. “Avevo fatto una vita lunga da sola, non ero abituata alla coppia, quindi mi sembrava che dovevo imparare, sforzarmi un po’”. Ma proprio perché è sempre stata abituata a cavarsela da sola e ad essere libera, Amelia mal sopporta il comportamento del compagno. “Decideva tutto lui, poi si arrabbiava se non facevo come diceva lui. Io allora minacciavo di andarmene e lui, dopo poco, veniva da me dicendomi: ‘scusa ti amo’. E iniziava tutto da capo”.
La storia di Amelia è, purtroppo, una storia come tante. Quando rimane incinta però diventa tutto più difficile: lui lavora molto poco, non riesce a tenere un impiego per più di qualche mese, lei è in maternità e la convivenza serrata rende tutto più teso. E quando nasce il figlio, nel 2017, iniziano le botte.
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"È una gabbia da cui vorresti uscire ma non sai come"
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L’Istat nell’audizione del 23 gennaio 2024 di fronte alla Commissione di inchiesta sui femminicidi e sulla violenza di genere dà conto dei dati del 2022 per quanto riguarda i cosiddetti “reati spia”: le donne vittime di atti persecutori risultano 12.928, pari a un tasso di 42,8 donne per 100 mila. Le denunce di maltrattamenti contro familiari e conviventi con vittima donna sono state 19.963 (65,2 per 100 mila donne) e quelle di violenza sessuale 4.986 (16,5 per 100 mila donne).
L'istituto nazionale di statistica ricorda che il tasso del sommerso delle violenze continua ad essere alto. Solo una donna su dieci, che subiscono violenza, denuncia e le donne straniere hanno una propensione ancora più bassa a denunciare.
Nel 2022 i controlli effettuati dalle volanti per casi di presunta violenza domestica sono stati 1.608.
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La Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013, impone agli Stati non solo di dotarsi di una legislazione efficace, ma anche di verificarne in modo costante l’effettiva attuazione da parte di tutti gli attori, istituzionali e non, a partire da quelli appartenenti al sistema giudiziario.
Già a dicembre 2023 Differenza Donna, l’associazione che gestisce il numero verde antiviolenza 1522 su Facebook, denunciava il pericolo di varare leggi a protezione delle donne ma a costo zero.
Nonostante l'entrata in vigore della legge 168/23 che rafforza la priorità dei procedimenti per reati di violenza di genere contro le donne, accade che il Tribunale di Tivoli disponga il rinvio a giudizio di un imputato del reato di maltrattamenti lesioni e violenza sessuale al 17 marzo 2026 .
"La donna dovrà dunque ancora attendere oltre due anni per l’inizio del processo, vanificando la rapidità delle indagini preliminari da parte della Procura. Non è un caso isolato ma una prassi diffusa nonostante la legge preveda già dal 2019 la corsia preferenziale per questi tipi di reato, potenziata anche dalle ultime modifiche di legge", sottolinea l’avvocata Marilia Tiso.
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"Se il processo si chiude entro due anni, le condanne sono l’85%. Se va oltre i 4 anni, le condanne scendono al 50% perché molte donne ritrattano, non credono più nel sistema giudiziario"
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Dal 2017 esiste in Italia una Commissione parlamentare d’Inchiesta contro il femminicidio e contro ogni forma di violenza di genere. La prima relazione del 2021 prendeva in esame gli anni dal 2016 al 2018 e nei capitolo su “La risposta giudiziaria ai femminicidi In Italia. Analisi delle indagini e delle sentenze. Il Biennio 2017-2018” e “Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria”, fornisce un quadro molto arretrato del sistema giudiziario e delle forze dell’ordine che è bene ricordare.
La commissione ha analizzato 217 casi di femminicidi tra il 2017 e il 2018 e ha analizzato i fascicoli di 15 casi in cui le donne avevano denunciato in precedenza e poi erano state uccise, inascoltate dal sistema.
"Una delle costanti criticità rilevate nelle quindici indagini prese in considerazione è la mancata ricerca del "movente di genere" […] In diversi casi l’uomo aveva espressamente dichiarato alla polizia giudiziaria di non tollerare e di non poter consentire che la moglie non rispettasse le regole di casa; che non volesse cucinare; che intendesse separarsi eccetera. Tutto questo, anziché essere interpretato come ragione di rischio per la vittima, proprio perché costituisce l’impalcatura culturale e identitaria su cui si radica una continuativa e costante violenza, non solo non è stato in alcun modo valorizzato, ma è stato addirittura ritenuto normale".
Mancano gli strumenti culturali, si legge nella relazione, le donne non vengono ritenute soggetti da proteggere e di cui tutelare il diritto alla libertà e alla dignità, ma, al contrario, sono talvolta ritenute "astute calcolatrici", mosse da una volontà vendicativa nei confronti dei loro compagni anche attraverso i figli.
Nella inchiesta sulle indagini delle forze dell’ordine, la Commissione rileva che molto spesso l’uomo è creduto più della donna quando fa delle denunce evidentemente di ritorsione, anche quando ci siano state denunce precedenti della donna.
"In un caso, un appartenente alle Forze dell’ordine, sollecitato ad assumere provvedimenti, si era limitato a convocare l’uomo violento prendendo con lui un caffè ed invitandolo ad avere pazienza. A distanza di pochi mesi l’uomo aveva ucciso le due figlie e sparato alla moglie”
Poi c’è l’altro lato, le donne che ritrattano spesso lo fanno non perché non sia avvenuta la violenza, ma per paura. E’ un fenomeno diffuso quello della ritrattazione soprattutto quando ci sono figli, si spera così di interrompere la violenza.
"In un caso, in particolare, una donna vittima di gravissime violenze fisiche e psicologiche e di violenza sessuale (delitto per il quale non è consentita la remissione della querela) aveva spiegato alla polizia giudiziaria di non voler più procedere nei confronti del marito (senza ritrattare la precedente denuncia) perché non aveva soldi e l’uomo era l’unico a mantenere la famiglia, perché la figlia, che viveva con il padre, le aveva confidato di avere bisogno di lei. Il caso era stato subito archiviato e dopo tre mesi la donna era tornata a casa ed era stata strangolata dal marito".
Questo articolo è parte di una campagna a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla.
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