Howard Baskerville, un missionario presbiteriano, morì il 20 aprile 1909 combattendo al fianco di rivoluzionari persiani che volevano la monarchia costituzionale: sul suo busto, nel centro di Tabriz, campeggia la scritta "Patriota, uomo che fa la storia". 'Amici-nemici' o come si dice a Washington, "frenemies". Per oltre cento anni Stati Uniti e Iran hanno avuto una relazione ambivalente mutata in odio negli ultimi decenni fino al disgelo di oggi. Petrolio, comunismo, islam radicale, proliferazione atomica, colpi di Stato appoggiati dalla Cia, il tutto complicato dall'equazione a incognite di Israele.
Il rapporto è stato spesso semplificato ad uso interno negli Usa come scontro tra civiltà e barbarie. E tuttavia, complice Twitter, tra l'amministrazione Obama e la compagine di Hassan Rohani è nato un feeling sfociato nell'accordo sul nucleare e nell'odierno 'scambio di prigionieri'.
Secondo Gary Sick, ex funzionario del National Security Council, i rapporti tra Usa e Iran sono "una storia di opportunità mancate": nessuno dei due si è mai trovato sulla stessa lunghezza d'onda al momento di negoziare. Dopo la caduta dello Scià Reza Palhevi, la crisi degli ostaggi dell'ambasciata Usa nel 1979 fu il momento chiave, trasmesso ogni sera sui tg americani, con 444 giorni di iraniani col pugno chiuso che insultavano il "Grande Satana". Risolto il dramma, all'indomani dell'insediamento di Ronald Reagan l'America si alleò con Saddam Hussein, che usò le armi chimiche per gassare civili iraniani: oltre 50mila, secondo stime di un rapporto del 1991 della Cia.
Due capitoli di storia che hanno alimentato l'odio tra le rispettive classi dirigenti.
La guerra Iran-Iraq finì in scacco nel 1988, ma la pensione di Reagan e la morte di Khomeini quattro mesi dopo non aprirono la nuova era. L'invasione del Kuwait da parte di Saddam nel 1990 ricordò al primo presidente Bush che "il nemico del mio nemico non è sempre mio amico". Più interessato alla politica interna che a riscrivere la diplomazia, Bill Clinton adottò una politica del "duplice contenimento", mentre il politologo di Harvard Samuel Huntington agitava lo spettro dello scontro di civiltà con l'Islam. Nulla cambiò quando a Teheran venne eletto il moderato Mohamed Khatami nel 1997 e parlò di dialogo. A dispetto delle condoglianze arrivate dal "frenemy" iraniano ore dopo le stragi dell'11 settembre, George W. Bush inserì Teheran con Pyongyang e Baghdad tra gli "Stati canaglia" dell'Asse del Male.
Erano gli anni in cui l'Iran cominciava a costruire il reattore di Bushehr, capace di produrre uranio a scopi di guerra. Di lì a poco a Teheran sarebbe arrivato Ahmadinejad a complicare ulteriormente i rapporti con Washington e il resto del mondo.
Fast forward al Cairo e allo storico discorso di Obama il 2 giugno 2009: nell'evocare "un nuovo inizio" nei rapporti tra Usa e Medio Oriente, il nuovo presidente tende il ramoscello di ulivo a Teheran ammettendo, senza mai menzionare il colpo di Stato del 1953 contro Mohammed Mossadegh, che "durante la guerra fredda gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo nel rovesciamento di un governo iraniano democraticamente eletto". L'inizio della svolta.
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