La minaccia di nuove sanzioni alla Russia, questa volta estese al petrolio, scatena l'ennesima ondata di panico sui mercati, con le Borse europee che in mattinata si inabissano e i prezzi di tutte le materie prime, incluse quelle alimentari, che allungano una volata di cui non si vede la fine. La spirale generata dalla guerra in Ucraina alimenta l'incubo della stagflazione, mix micidiale di alta inflazione e bassa crescita, con Barclays e Jp Morgan che hanno alzato le stime sulla prima e ridotto quelle sulla seconda. "La penuria di materie prime disponibili potrebbe determinare forti scompensi nella catena degli approvvigionamenti, con gravi ripercussioni sulla crescita e un concomitante effetto di aumento dei prezzi", avverte l'asset manager Carmignac. Piazza Affari ha perso l'1,4% al termine di una seduta nervosissima che ha visto il listino milanese cedere fino al 6% mentre Francoforte e Parigi hanno chiuso in flessione, rispettivamente, del 2% e dell'1,4%. Peggio hanno fatto le borse asiatiche (-3% Tokyo e -3,9% Hong Kong) mentre a Wall Street S&Pe Dow Jones arretrano del 2%. Gli analisti di Ubs, alla luce del quadro macro e geopolitico, hanno tagliato il loro giudizio sull'azionariato globale ed europeo. Francoforte e l'indice paneuropeo Stoxx 50 sono entrati in un 'mercato orso', avendo ripiegato di oltre il 20% dai massimi di gennaio.
Gli investitori sono stati spaventati dal balzo del petrolio, con il brent che ha sfiorato i 140 dollari al barile, il massimo dal 2008, in scia alla minaccia americana di bloccare l'import di greggio russo. La frenata della Germania, che ha definito "essenziali" per l'Europa le forniture russe, ha fatto ripiegare il brent, che si è comunque mantenuto sopra i 120 dollari, seguito a stretto giro dal wti. Ad Amsterdam il gas si è impennato fino a 345 euro (+79%) e ha chiuso a un nuovo massimo di 227 euro (+18%). Ma tanti sono i record segnati dalle commodities, dal palladio, al rame al nichel. Mentre il grano, di cui l'Ucraina e la Russia sono grandi produttori, ha sfondato il suo massimo a Parigi, dopo che l'Ungheria ha introdotto controlli all'export di cereali. Notizia quest'ultima che ha allarmato le filiere produttive mentre un portavoce della Commisione Ue ha ribadito ce "la libera circolazione di beni e servizi nel mercato interno è la nostra risorsa più importante per garantire gli approvvigionamenti in tutta l'Ue" e "eventuali misure restrittive devono essere limitate allo stretto necessario e rigorosamente proporzionate".
Per Goldman Sacs la corsa dell'energia si mangerà l'1,2% del pil europeo ma in caso di riduzione delle forniture russe l'impatto, riferibile solo al gas, salirà dallo 0,6% all'1%, per toccare il 2,2% nello scenario "più avverso" di una chiusura completa dei rubinetti. La maggiore esposizione dell'economia europea a quella russa si è manifestata nella debolezza dell'euro, sceso a 1,087 sul dollaro, e nel tuffo della moneta unica sotto la parità con il franco svizzero. Niente a confronto della rotta del rublo, che le sanzioni stanno annichilendo (oggi ha toccato un minimo di 162 sul dollaro quando a inizio 2022 quotava a 75) mentre sul mercato si ritiene sempre più probabile un default del debito russo.
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