"Lavoro in Italia da 8 anni e ho lavorato con Renzi, Conte, Letta e adesso Draghi. Abbiamo fatto di tutto per costruire ponti, rafforzare i rapporti in economica, cultura e altri campi. Con rammarico adesso tutto è stato rivoltato". Lo dice l'ambasciatore della Federazione Russa in Italia L'ambasciatore russo Sergey Razov a piazzale Clodio per depositare un esposto per istigazione a delinquere e apologia di reato per alcuni articoli pubblicati dal quotidiano la Stampa. L'ambasciatore ha invitato i giornali a "seguire entrambi i messaggi e non solo quelli della parte Ucraina".. "Ogni giorno - prosegue Razov - leggo la stampa italiana e vedo ogni giorno alcune foto la provenienza della quale è molto dubbiosa"."Prima finisce meglio è: sono in corso trattative con l'Ucraina e speriamo in esiti positivi", ha aggiunto Razov riferendosi al conflitto e poi ha sottolineato che non esiste "nessuna minaccia nucleare da parte di Mosca ma riflessioni di scenari in caso di minacce per la sicurezza della Federazione Russa".
"Esprimo la mia solidarietà sentita ai giornalisti e al direttore de La Stampa. Così il premier Mario Draghi nella conferenza stampa al termine del vertice Ue a Bruxelles dove ricorda: "la libertà di stampa è sancita dalla Costituzione e non è un caso che l'ambasciatore russo si sia espresso in questo modo: nel suo paese non c'è libertà di stampa. Da noi si sta molto meglio, diteglielo anche voi!" .
Dopo l'attacco e la denuncia dell'ambasciatore russo contro il quotidiano 'La Stampa per 'istigazione a delinquere' non tarda la replica del direttore Massimo Giannini. "Respingiamo con forza" la lezione dell'ambasciatore russo Razov, "perché siamo sereni su quello che pensiamo e scriviamo, siamo un giornale libero che cerca di raccontare i nudi fatti. Un giornale che ha anche le sue idee e le propugna, le idee della liberal democrazia contro tutte le autocrazie". Così il direttore de La Stampa, replica in un lungo editoriale video, pubblicato sul sito, alla querela dell'ambasciatore russo in Italia contro il quotidiano. "Solo nel mondo alla rovescia di Santa Madre Russia, quella che piace a Putin, può accadere che un ambasciatore di un Paese che ha decretato la più sporca guerra contro una democrazia liberale possa intentare una causa contro un giornale, responsabile solo di raccontare quello che sta succedendo in quel Paese, dove appunto la Russia di Putin ha lanciato un'offensiva, 'operazione militare speciale' come la chiamano loro, che in realtà è una guerra vera che sta facendo vittime soprattutto tra i civili, sta distruggendo città, bombardando ospedali, scuole, aziende, palazzi qualunque cosa ci sia nell'orizzonte nefasto che secondo Putin va ricondotto a unità, come è successo a Grozny o ad Aleppo", esordisce Giannini. E ricorda i due episodi dei giorni scorsi, la prima pagina con la foto che ritraeva una strage in Donbass con il titolo 'La carneficina', "che non attribuivamo a nessuno, perché ci sta a cuore dimostrare la mostruosità della guerra", e poi l'articolo di Domenico Quirico "che raccontava una tesi ricorrente su tutti gli organi di informazione occidentali e non, e anche in molte cancellerie, secondo cui forse la cosa migliore sarebbe uccidere il tiranno, assassinare Putin. Ma Quirico articolava questa tesi - spiega il direttore della Stampa - e concludeva: chi la sostiene si illude, perché se anche si potesse uccidere il tiranno, le cose peggiorerebbero ancora. Eppure questo è bastato per far dire a Razov che abbiamo aizzato a uccidere Putin, l'esatto contrario di quello che avevamo scritto". "Questa è la Russia di oggi, guidata da un autocrate che chiude giornali e radio, che non possiamo dire faccia uccidere, ma succede, i giornalisti scomodi al regime", sottolinea ancora Giannini. "Un Paese in cui la libertà di informazione è declinata nella chiave utile sempre e soltanto alla verità del regime". Giannini chiude il suo editoriale leggendo un brano del libro 'La Russia di Putin' di Anna Politkovskaja, "grande giornalista che ha avuto il coraggio di raccontare le malefatte del regime e ha pagato con la vita. 'Vogliamo essere liberi, perché amiamo la libertà', scrive. Anche noi la amiamo e continueremo a difenderla nonostante tutte le minacce e le intimidazioni, perché sappiamo di stare dalla parte giusta della storia".
"La cosa che ci preoccupa è che gli armamenti italiani saranno usati per uccidere cittadini russi - ha affermato - . E voglio ricordare che la decisione è stata presa quando è iniziata la prima tappa delle trattative: i fucili vengono distribuiti non solo tra i militari, ma anche tra i cittadini e non si capisce come e quando saranno usati".
"L'operazione finirà quando saranno raggiunti gli obiettivi definiti dal presidente Putin prima dell'avvio" ha detto ancora Razov, definendo "drastiche" le sanzioni imposte alla Russia per lo scoppio della guerra. "Dal 2014 - ha aggiunto facendo sempre riferimento alle sanzioni - sono state oltre 5000 contro la Russia, impossibili da calcolare. La logica non corrisponde a nessuna analisi".
La missione russa in Italia durante la pandemia. Con la missione del marzo del 2020 "al popolo italiano è stata tesa una mano di aiuto, ma se qualcuno morde quella mano non è onorevole". Così l'ambasciatore russo a Roma è tornato sulla missione con cui la Russia inviò aiuti nel nostro paese durante il periodo più duro del Covid. "La missione è andata solo nei posti indicati dall'Italia, precisamente a Bergamo, centro della pandemia in quel momento - ha aggiunto - Facevano solo quello che veniva detto dai colleghi italiani e la missione russa è terminata quando l'Italia ha proposto di concluderla. Le autorità italiane hanno espresso gratitudine per quanto fatto".
Solidarietà al quotidiano La Stampa dal ministro degli esteri Luigi Di Maio. "La Stampa, come tutti i nostri organi di informazione, fa il suo mestiere: raccontare quello che succede, comprese le atrocità della guerra in Ucraina. In Italia la libertà di stampa è intoccabile. Avanti senza censure. Solidarietà a Massimo Giannini e alla sua redazione". Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri Luigi Di Maio dopo la querela dell'ambasciatore russo a Roma Razov.