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Ucraina: a Chernihiv, la città che ha resistito per Kiev

Mine lasciate dai russi in ritirata. I blocchi in strada restano ESCLUSIVA ANSA

Se i russi avessero sfondato a Chernihiv sarebbero entrati a Kiev in una manciata di giorni. La città a 50 chilometri dal confine con la Bielorussia che ha resistito all'avanzata dei carri armati del nemico è a nord est, l'ultimo bastione prima della capitale. Non è ancora chiaro quanto Mosca volesse veramente proseguire, ma fatto sta che le truppe di Putin qui si sono ritirate e i tank con la bandiera gialloblu, che in queste ore rientrano, vengono accolti come eroi invincibili della guerra del nord. "Non potevamo perdere Chernihiv e neppure mollare di un metro", spiegano i soldati mentre aggiustano i mezzi sullo stradone statale che porta alla città, deserto e disseminato di relitti del nemico o voragini create dalle bombe. "Un'altra Mariupol? Possibile se fossero entrati, ma li abbiamo scacciati", dicono fieri e stanchi mentre mangiano marmellata e polvere che si alza dall'asfalto. Poco distante, nei campi, si sentono in lontananza i boati delle mine ora fatte brillare in sicurezza che i militari avevano raccolto con cautela dopo la ritirata delle milizie russe. E poi c'è la città, diventata a nord il campo di battaglia: oltre il ponte alle porte di Chernihiv, crollato sotto le bombe dell'esercito russo, restano le difese e i blocchi per strada. Sacchi di sabbia, pneumatici e cubi di cemento rallentano il passaggio delle macchine ovunque. "Anche otto anni fa li avevano messi, si preparavano alla guerra, ma - ricorda Valentina - poi per fortuna c'era stata solo nel Donbass. Stavolta pensavo che non succedesse e invece...", ricorda la donna, che per la prima volta dopo giorni scende per strada e guarda attonita le rovine. Nonostante tutto la gente si muove apparentemente tranquilla nella piazza principale della città turistica, una delle più antiche di tutta l'Ucraina con i suoi ornamenti medievali.

L'Hotel Ukrain, crollato sotto le bombe a grappolo dei russi e con le sue macerie per strada, ormai lascia indifferenti i passanti. I danni maggiori sono in periferia. Qui per oltre un mese le milizie russe hanno esploso i colpi dai cannoni dei tank e hanno ferito i palazzi, per la maggior parte già abbandonati dalla gente, che ora invece è tornata negli appartamenti. Almeno quelli non danneggiati. Dmytro sta lentamente cominciando a risistemare la casa: nella sua camera da letto un proiettile di carro armato ha fatto crollare due piani e nella stanzetta della figlia Elisa la parete si è staccata dal solaio. In un altro degli edifici colpiti ci abita solo Natalia, che però ormai vive nel rifugio perché l'appartamento è distrutto. Non è andata meglio a Kristina, 21 anni, che neppure può rientrare in casa da quando ha lasciato quei palazzi che erano proprio in mezzo al fronte: "Siamo andati al supermercato a fare le scorte e mentre rientravamo abbiamo sentito le esplosioni. Ci siamo chiusi in casa, eravamo terrorizzati, i vetri tremavano e gli oggetti si muovevano. Restavamo nei corridoi e poi siamo scappati nei rifugi, prima di andare a vivere in un appartamento più distante".

C'è chi invece dice di aver perso parte dell'udito per quella pioggia di piombo ed esplosivo durata settimane: i morti sono stati diverse decine, ora sepolti in un cimitero improvvisato con croci di legno, come quelli finiti sotto la macerie di una farmacia colpita vicino alla clinica cardiologica dove un razzo è caduto invece nelle vicinanze. I cittadini della periferia hanno resistito, rimasti per giorni senza acqua né riscaldamenti o elettricità. Poi ci sono le mine, lasciate dai soldati di Mosca un po' dappertutto, tanto che alcuni luoghi vengono contrassegnati da mattoncini rossi, mentre sui muri c'è una scritta che le segnala. E nei vicini villaggi, come a Yahidne, l'occupazione c'è stata eccome. Qui nei sotterranei di una scuola i russi - racconta il governatore - hanno tenuto in ostaggio centocinquanta persone, compresi donne e bambini. Chi moriva veniva lasciato lì accanto ai vivi. I vivi hanno patito fame, paura, dolore, disperazione". Il confine però è salvo, così come la capitale, e sembra che ora questa sia l'unica cosa che conta. Che può tirare su di morale. E' per questo che davanti a uno dei blocchi, all'entrata di Chernihiv, tra le gomme impilate c'è lo scheletro di una delle cluster bomb sganciate dai russi, un trofeo di guerra per ricordare che il nemico qui non potrà mai passare. Il Donbass, invece, è un'altra storia.

Alla periferia della città tra i palazzi colpiti dai carri armati russi 

 

Sulla strada delle mine lasciare dai militari russi

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