Il cappio degli ayatollah continua a pendere, minaccioso, davanti al dissenso dei giovani e delle donne che da mesi protestano per strada denunciando la violenza del regime e rivendicano libertà fondamentali. Dopo l'esecuzione di due uomini, avvenuta appena sabato scorso, altri 4 dimostranti sono stati condannati a morte tra domenica e lunedì per aver manifestato il loro dissenso. Altri sono stati condannati a lunghe pene detentive, come l'ex calciatore Amir Nasr Azadani di 26 anni, che dovrà passarne altrettanti dietro le sbarre. O come Faezeh Hachemi Rafsanjani, figlia dell'ex presidente iraniano, condannata a 5 anni in prima istanza.
E mentre Teheran continua a denunciare "l'oscenità offensiva" delle vignette di Charlie Hebdo e "la cospirazione straniera" contro i suoi interessi, molte cancellerie occidentali hanno deciso di convocare gli ambasciatori iraniani nei loro Paesi per condannare l'uso spregiudicato del boia per fermare il dissenso. Anche il Papa ha fatto sentire la sua voce contro la pena di morte in Iran che "non può essere utilizzata per una presunta giustizia di Stato, poiché essa non costituisce un deterrente, né offre giustizia alle vittime, ma alimenta solamente la sete di vendetta". E ha lanciato un appello affinché venga "abolita in tutti i Paesi del mondo".
La sentenza più grave è arrivata stavolta per Saleh Mirhashemi Baltaghi, Majid Kazemi Sheikhshabani e Saeed Yaghoubi Kordsofla, accusati di "attacco terroristico armato" e di aver sparato uccidendo tre membri delle forze di sicurezza a Isfahan durante le proteste. La condanna a morte è stata inflitta loro per il reato di 'Muharebeh' ('guerra contro Dio' in persiano), fattispecie tanto vaga quanto usata per soffocare la protesta.
Un altro arrestato, Kambiz Kharot, è stato condannato a morte ieri, ma la notizia è stata diffusa oggi da Hrana, l'agenzia degli attivisti. Kambiz, 20 anni, era stato arrestato a Zahedan nel sudest del Paese, ed è stato anche lui ritenuto colpevole di 'Muharebeh' e "corruzione sulla terra". E così è salito a 17 il numero di pene capitali comminate dall'inizio delle proteste, scoppiate a settembre dopo la morte in custodia di Mahsa Amini. Tra queste, 4 sono già state eseguite, altre due sono state confermate dalla Corte Suprema.
A Karaj, città a ovest di Teheran, decine di persone si sono radunate davanti alla prigione di Rajaeishahr, alle prime luci dell'alba, quando si era diffusa la notizia che altri due giovani condannati, Mohammad Ghobadlou e Mohammad Boroughani, sarebbero stati portati al patibolo di lì a poco. Davanti al carcere, c'era anche la madre di Ghobadlou per chiedere clemenza per il figlio, anche se della loro sorte non si è poi saputo più niente.
La Guida suprema Ali Khamanei però non intende arretrare. Al contrario, ha ribadito che i manifestanti sono "traditori" da "combattere duramente". "La mano degli stranieri, americani ed europei, nelle rivolte è così ovvia che non può essere ignorata", ha aggiunto, ripetendo il mantra della propaganda vittimistica dell'Iran. Di fronte alle ultime esecuzioni e alle nuove condanne a morte, l'Europa ha reagito convocando quasi all'unisono i diplomatici iraniani, a partire dall'ambasciatore dell'Iran presso l'Ue Hossein Dehghani. Lo stesso hanno fatto Londra, Berlino, Parigi e altri Paesi. Il messaggio è univoco: basta condanne a morte e fermare le esecuzioni già decise.