In un tempo in cui spesso si lamenta la mancanza di leader occidentali in grado di dominare le grandi sfide di una storia che ripropone i suoi drammi, il Regno Unito commemora i 150 anni dalla nascita del suo più grande statista contemporaneo, venuto alla luce il 30 novembre 1874, quando l'impero britannico spadroneggiava sui mari e l'Europa sul mondo. Winston Churchill, ricordato soprattutto come l'indomito primo ministro conservatore che si oppose "nell'ora più buia" al nazismo di Adolf Hitler e rese possibile insieme agli altri leader alleati la vittoria nella Seconda guerra mondiale, è stato nel complesso un personaggio ammirato e controverso: sicuramente un figlio della sua epoca, finito negli anni al centro di critiche e perfino trattato alla stregua di personaggi razzisti e colonialisti con tanto di protesta rivolta contro una delle sue statue più famose a Londra.
Nelle celebrazioni della sua nascita - incentrate sulla serie di eventi organizzati da Blenheim Palace nell'Oxfordshire, sfarzosa residenza dei duchi di Marlborough dove venne al mondo il loro illustre discendente, figlio di un politico di carriera, lord Randolph Churchill, e della statunitense Jennie Jerome, erede di un ricco uomo d'affari e diplomatico americano fra l'altro proprietario del New York Times - prevale però l'aspetto commemorativo. E l'importanza dell'eredità lasciata dallo statista in un presente oppresso di nuovo da instabilità e conflitti, dall'Europa al Medio Oriente, rispetto ai quali viene spesso invocata una "visione alla Churchill". L'uomo dalle tante vite, morto a 90 anni nel 1965, è stato preso ad esempio ed esaltato anche da leader politici di altra ideologia, copiato seppure con esiti discutibili dall'ex premier conservatore Boris Johnson, ammiratore e biografo di sir Winston, ma non sembra avere in realtà eredi alla sua altezza.
Per ricordarlo è stato organizzato un lungo calendario di eventi, tra mostre, conferenze, nuove pubblicazioni, inaugurazioni di monumenti, rievocazioni storiche, e tra le iniziative c'è anche una emissione di francobolli con alcune delle tante frasi celebri diventate aforismi. "Ho fede nella mia stella. Sono destinato a far qualcosa a questo mondo", è una delle sue citazioni, risalenti a quando Winston era un giovane di belle speranze all'inizio di una carriera da ufficiale nell'esercito che lo portò a combattere in Sudan e Sudafrica per difendere l'impero coloniale. Prima di affacciarsi all'inizio del '900 sulla ribalta politica, per il partito conservatore salvo un periodo in quello liberale, e arrivare rapidamente a occupare gli incarichi di governo più importanti. A partire da quello di Primo lord dell'ammiragliato, a capo della flotta di sua maestà, che egli lanciò insieme alle truppe di terra nella disfatta militare più cocente della sua carriera: la battaglia di Gallipoli nella Prima guerra mondiale. Una caduta che gli costò le dimissioni per poi tornare ancora a ruoli di grande importanza in un'altalena esistenziale di alti e bassi che segnò l'intera carriera del vincitore passato attraverso molte sconfitte, impegnato secondo alcuni anche a combattere contro il nemico della depressione, particolare questo respinto dalle ricerche più recenti. Mentre in un libro ('How Churchill Waged War') del direttore dei Churchill Archives, Allen Packwood, è stato sottolineato come in realtà i processi decisionali di sir Winston in tempo di guerra fossero molto sofferti e rivolti a vincere una battaglia alla volta e non all'insegna di una particolare strategia.
Fu di sicuro un uomo umorale, caparbio fino alla testardaggine: dote nel suo caso che gli permise i tanti ritorni sulla scena. Fino a quello decisivo, nel maggio 1940, a quasi 66 anni, come primo ministro pronto a promettere "sangue, fatica, lacrime e sudore" per evitare l'invasione nazista dell'Inghilterra e guidare la riscossa contro Hitler. E anche quello più improbabile da premier bis, nel 1951 dopo aver vinto la guerra ma perso le elezioni nel 1945. Nel frattempo era stato lui a suggellare l'inizio della guerra fredda con la celebre frase sulla "cortina di ferro" calata sull'Europa. E poi a ricevere nel 1953 il premio Nobel per la Letteratura, in forza di una passione per la scrittura testimoniata dalla monumentale opera sul secondo conflitto mondiale e "dall'oratoria in difesa dei valori umani".
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