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Putin pronto a cacciare i non russi dalle regioni annesse

"Chi rifiuta la cittadinanza diventerà straniero a casa sua"

Stranieri nella terra in cui sono nati: così si ritroveranno ad essere d'ora in poi gli ucraini delle quattro regioni annesse da Mosca che non chiederanno di avere la cittadinanza russa. E come tali potranno essere espulsi se porteranno una "minaccia alla sicurezza nazionale", anche solo partecipando a manifestazioni non autorizzate di protesta. E' quanto prevede un decreto firmato dal presidente Vladimir Putin, per il quale queste sono "terre storiche della Russia". Il decreto riguarda le regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson, che per Mosca sono entrate a far parte della Federazione Russa dopo i referendum sull'annessione tenuti nel settembre dell'anno scorso e non riconosciuti dalla comunità internazionale. Anche se al momento solo quella di Lugansk è quasi interamente sotto il controllo delle forze russe, mentre nelle altre tre vaste porzioni di territorio rimangono in mano agli ucraini.

Ma per Putin questo non fa differenza. "Questa gente è parte del nostro popolo", ha affermato il presidente in un incontro a San Pietroburgo del Consiglio dei Legislatori, un organismo che comprende membri delle due camere del Parlamento nazionale e rappresentanti dei Parlamenti delle repubbliche.

E questo, ribadisce, giustifica anche l'operazione militare di Mosca, perché è necessario "difendere e proteggere la loro decisione inequivocabile di tornare alla Russia". Chi non è d'accordo, e non accetta di chiedere la cittadinanza russa, potrà continuare a vivere in queste regioni ma come straniero. Con la possibilità però di essere allontanato se si renderà responsabile appunto di reati giudicati come una minaccia alla sicurezza nazionale. E qui la casistica è molto vasta.

Si va da atti che comportino "un cambiamento violento delle fondamenta dell'ordine costituzionale" con atti di terrorismo o sostegno all'estremismo, fino alla partecipazione a raduni e manifestazioni non autorizzate. Putin, inoltre, ha promulgato una nuova legge approvata nei giorni scorsi dal Parlamento che prevede la possibilità di revocare la cittadinanza acquisita sempre nel caso di minaccia alla sicurezza nazionale e per la diffusione di notizie giudicate false che "provocano discredito" alle forze armate. Gli altri reati che possono portare alla revoca sono, tra gli altri, la renitenza alla leva militare e la diserzione. L'introduzione delle nuove normative sembra precludere la strada da parte russa ad ogni compromesso territoriale per mettere fine al conflitto in Ucraina.

Così come, sull'altro fronte, il decreto a suo tempo firmato dal presidente Volodymyr Zelensky che vieta per legge ogni trattativa con Putin. Mosca dunque mostra di essere pronta ad un lungo conflitto, e a sopportare le conseguenze del perdurare delle sanzioni. Lo stesso Putin ha fatto appello a tutte le istituzioni perché lavorino come "una squadra coesa e ben coordinata" per far fronte alla "aggressione economica dell'Occidente". A 14 mesi dall'inizio dell'operazione militare speciale, come a Mosca viene chiamata, i russi sembrano comunque ancora compatti a sostegno del loro capo. Secondo l'ultimo sondaggio realizzato dal Centro statistico indipendente Levada, in aprile è leggermente aumentata raggiungendo il 75%, rispetto al 72% di marzo, la percentuale di coloro che sostengono l'intervento in Ucraina. Non solo i più anziani, che si affidano alla televisione di Stato per essere informati. Ma anche i giovani nativi digitali, in grado di accedere ai media di ogni tendenza per la loro capacità di aggirare tutte le censure. Nella fascia di età 18-24 anni, infatti, sono il 63 per cento quelli che si dichiarano d'accordo con Putin.

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