La diplomazia renziana è al lavoro per tentare di sfondare la sacca in cui è finita la maggioranza al Senato. L'ostruzionismo dell'opposizione si è rivelato un fronte difficile da scardinare, soprattutto perché il regolamento di palazzo Madama, in tema di disegni di legge costituzionali, consente il contingentamento dei tempi ma obbliga a votare tutti gli emendamenti (quasi ottomila): il che rischia di protrarre sine die le sedute, ben oltre la fine di agosto. Con il continuo pericolo degli agguati dei franchi tiratori nel voto segreto.
Ecco perché il premier ha inviato ai senatori della sua coalizione una lettera in cui attribuisce alla loro tenuta il futuro stesso dell'Italia. Un appello che implicitamente, come rilevano gli alfaniani, riconosce in via preliminare l'importanza della compattezza della maggioranza e degli accordi definiti nel suo perimetro. Ma nella lettera il Rottamatore compie anche alcune timide aperture sulla legge elettorale.
Matteo Renzi lascia intendere all'opposizione che si potrebbe parlare di ritocchi all'Italicum in tema di preferenze e di soglie di sbarramento, a condizione che ci sia una reale intenzione di negoziare. Dunque che vengano ritirate le proposte di modifica chiaramente ostruzionistiche.
Su questa linea Renzi raccoglie l'appoggio entusiastico del Nuovo centrodestra e della minoranza democratica, ma anche la diffidenza di Sel e del Movimento 5 Stelle. Il motivo è semplice: il capo del governo ha sempre detto che l'Italicum può essere corretto solo a condizione che siano d'accordo entrambi i contraenti del Patto del Nazareno, dunque lui e il Cavaliere.
E questo è l'anello debole. Silvio Berlusconi non sembra in grado di imporre ai suoi un ritorno alle preferenze (gradite invece al frondista Raffaele Fitto). Non controlla più il partito come una volta. La domanda è come mai il premier si sia avventurato in una proposta di questo genere senza un accordo preliminare con il leader azzurro.
Semplice tattica? Lo si vedrà nei prossimi giorni. Ma intanto lo slittamento dell'incontro tra i due, sia pure dovuto a una indisposizione del Cavaliere, la dice lunga sulle difficoltà poste dal terreno di battaglia. La maggioranza rischia di impantanarsi in un sacca senza vie d'uscita, accerchiata dalle opposizioni che attuano quella che Beppe Grillo definisce una ''guerriglia democratica'', una forma di filibustering portata alle estreme conseguenze. I grillini pensano anche a inedite forme di protesta, come il ''Parlamento in piazza'', che richiederebbero risposte che al momento non si vedono.
Il calcolo degli avversari è ovvio: il tempo lavora contro Renzi. Finora il Rottamatore ha imposto la logica del blitz ma a questo punto rischia di trovarsi davanti ad un bivio: accettare il rinvio della discussione sulle riforme all'autunno, con tutto ciò che comporterebbe per la sua immagine, o ricorrere all'arma nucleare delle elezioni anticipate. In quest'ultimo caso Renzi si presenterebbe di fronte agli elettori accusando i nemici di bloccare il cambiamento e chiedendo un mandato pieno a varare una volta per tutte le riforme attese da vent'anni.
Questa strategia ha una controindicazione importante: si voterebbe, dopo la bocciatura del Porcellum da parte della Consulta, con il proporzionale puro e con le preferenze, proprio come nella Prima Repubblica. E' molto dubbio che dalle urne ne possa uscire una solida maggioranza. Non a caso Beppe Grillo ha definito la minaccia, ventilata più volte dai renziani, una pistola scarica: il M5S, ripete, non la teme.
Sullo sfondo di questa drammatica partita, nella quale Renzi si gioca il futuro politico, si addensano le nubi della stagnazione economica. Tutte le principali istituzioni nazionali e internazionali concordano nel prevedere una crescita dell' Italia prossima allo zero. In settembre il governo dovrà dare indicazioni precise e Forza Italia si spinge a pronosticare non una manovra correttiva ma una vera e propria riscrittura della legge di stabilità. Renzi ha più che mai bisogno dell'Europa ma senza riforme è troppo debole.