Matteo Renzi non molla di un centimetro. In mattinata il premier lo assicura ai cittadini che lo incoraggiano all'Altare della Patria. In serata ribadisce il concetto davanti ai parlamentari del Pd, sfidando la minoranza pronta a non votare la riforma alla Camera. "E' la riforma più di sinistra che io abbia mai visto e la dead line per l'approvazione è Il 1 gennaio", taglia corto il premier al di là dei tentativi di intesa in corso. Ed è forse per non rovinare il già fragile dialogo che all'assemblea la sinistra preferisce non andare all'attacco, evitando di intervenire. Renzi si augura che non servirà metterà la fiducia sul jobs act. "La metteremo solo se serve", ribadisce il premier a Ballarò. Se con la minoranza il confronto è ancora aperto, non è così per la Cgil.
Il segretario confederale Danilo Barbi, in audizione alla Camera, avverte: "non consentiremo così facilmente di modificare questo articolo, faremo una opposizione brutale". Attaccato su vari fronti, dall'Ue ai sindacati fino alla sinistra dem, il presidente del consiglio non piega la sua linea. Non sembra intimorito dalla difesa che oggi Jean Claude Juncker fa dell'istituzione europea. "In Europa - è l'unica sfida a cui guarda il premier - si sta combattendo una battaglia decisiva, quella dei 300 miliardi di investimenti. Servono piu' crescita e lotta alla disoccupazione e meno politica legata al rigore e al mero rispetto dei parametri che appartengono piu' a passato che al futuro". Altro che rispetto dei tecnocrati, il premier resta ancora dell'idea che serve un cambio verso.
"La riforma successiva a quella dell'Italia è quella dell'Europa", rilancia il presidente del consiglio. Un'inversione di tendenza che lui vede nelle riforme messe in cantiere dal governo. La legge di stabilità, ammette, "è aperta alla discussione" ma è inconfutabile, sostiene Renzi, che "è rivoluzionaria" la riduzione della pressione fiscale, compresa quella sul lavoro. Ma la madre di tutte le battaglie è il jobs act, contro cui i sindacati minacciano lo sciopero generale e il Pd rischia di spaccarsi. L'analisi del premier parte dalla constatazione che "a parte l'art.18 c'è un consenso totale" inconfutabile. Davanti ai parlamentari Pd non sembra, però, tendere una mano per ridurre le tensioni sull'art.18.
"Stiamo togliendo alibi e non diritti e il primo gennaio è la dead line" per fare partire una riforma e "dare risposte" al mondo del lavoro. Il premier non nasconde le ombre della disoccupazione ma è ottimista: "Sono stati recuperati 156 mila posti di lavoro su quasi 1 milione persi, è poco certo ma è il segno di un'inversione di tendenze che stiamo registrando". Per dare un messaggio, il presidente del Consiglio continuerà a girare l'Italia da nord a sud "senza timore di contestazioni". E garantisce un impegno su alcune vertenze aperte, a partire dalla Ast di Terni. "Credo e penso che si possa trovare un accordo, Terni senza acciaio è una città fantasma", si impegna Renzi che definisce "sacrosanto" scendere in piazza per difendere il posto di lavoro. Economia e lavoro sono i dossier a cui più tiene Matteo Renzi che chiama all'unità interna. "Non su tutto la pensiamo allo stesso modo, ma ci attende una sfida immane per cambiare l'Italia", è la mano tesa.
Anche perchè oltre alle emergenze economiche, rilancia, a partire da una riunione di domani con Boschi e Finocchiaro, sulla legge elettorale: "va fatta al più presto anche se voteremo nel 2018", dice rilanciando anche sulle riforme costituzionali e sui diritti. Resta scoperto il nervo dell'elezione della Consulta ma il premier si mostra fiducioso. "Giovedì proviamo a chiudere - afferma - lo stallo: due donne alla Consulta, la nostra e' Sciarra, e un designato di M5S al Csm. E' positivo che M5S stia dentro la dinamica e spero che in queste ore decida anche Fi".