6 GENNAIO
Sette giorni esatti. Tanti ne mancheranno domani, quando i palazzi della politica si rimettono in moto dopo le feste, alle dimissioni già ampiamente annunciate di Giorgio Napolitano. Da lì sarà tutta una rincorsa verso l’elezione del nuovo Presidente: il 13 Matteo Renzi terrà il discorso ufficiale di chiusura del Semestre italiano di Presidenza della Ue, il 14 arriveranno le dimissioni ufficiali del Capo dello Stato, il Presidente del Senato Pietro Grasso assumerà il ruolo di supplente, il Presidente della Camera Laura Boldrini convocherà per la fine del mese il Parlamento in seduta comune (1008 grandi elettori tra senatori, deputati, senatori a vita e rappresentanti delle regioni) per arrivare all’elezione nella prima metà di febbraio.
Per i primi tre voti servirà la maggioranza qualificata dei due terzi dell’Assemblea (672 consensi) mentre dal quarto la maggioranza assoluta (505 voti). Se questo è il timing che porterà al Quirinale un nuovo inquilino (ma nella memoria di tutti è ancora vivo lo choc di un Parlamento balcanizzato, ostaggio di franchi tiratori ed incapace di eleggere un nuovo Presidente nel 2013) sono le prossime settimane quelle decisive per ogni scelta. Con buona pace del premier, che ha dato per ‘chiusa’ la vicenda, il caos sulla norma ‘salva-Cav’ non accenna a diminuire e Renzi dovrà davvero, nei prossimi giorni, camminare sulle uova.
Sia Forza Italia che la minoranza dem escludono che i malumori legati alla questione possano inquinare la partita sul Quirinale e quelle connesse sull’Italicum 2.0 (da domani in Aula al Senato) e della riforma del Senato (dall’8 in Aula alla Camera). Ma guarda caso i berlusconiani affilano le armi e tornano su accordi già chiusi, ritirando la disponibilità al premio di maggioranza alla lista e pretendendo risposte dal premier sulla clausola di salvaguardia (che allungherebbe fino al 2018 la legislatura). E intanto fanno sapere che sarebbe un ‘ricatto’ tenere sospeso il decreto fiscale fino a dopo l’elezione di un nuovo Presidente (come il premier ha annunciato di voler fare, magari rivedendo al ribasso il tetto del 3% dell’imponibile).
Se Renzi considera giusto lo spirito della norma - è il messaggio - riconfermi il decreto e basta. Di contro, la minoranza Pd pretende che quella norma sia cancellata e subito, per eliminare il sospetto di uno ‘scambio’ tra Berlusconi e Renzi, all’ombra del Patto del Nazareno, con la riabilitazione politica e la ricandidabilità del primo a fronte del via libera sulle scelte per il Quirinale del secondo. La cosa più pericolosa per il premier è che si sommi un fronte di nemici del Patto del Nazareno (dai grillini ai leghisti, dalla minoranza dem ai fittiani, Sel, parti di ncd, Udc, Sc) pronto a stringere accordi sul nome di un nuovo Presidente. Domani il premier riunisce i gruppi Pd per parlare di legge elettorale e di riforme, con un primo assaggio del filo rosso che terrà unite partite che lui vorrebbe giocare per parti separate.