"Dalla denuncia del Papa, che parla di 'scandalo' per il fatto che a parità di lavoro le donne abbiano una retribuzione più bassa degli uomini, all'audizione di ieri dell'Istat sul Jobs act al Senato, emerge per le donne un'Italia ferma ancora agli anni '50". Lo afferma il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, sottolineando che "al centro rimane il tema delle disuguaglianze, che è all'origine di questa lunga crisi. Tra queste, quella di genere è la più vistosa e quella sulla quale da tempo la Cgil ha acceso un faro". "Nonostante, infatti, - aggiunge Camusso - in ogni luogo si ribadisca che le disuguaglianze di genere non siano solo un problema di equità, di giustizia sociale, ma anche di vincolo allo sviluppo, assistiamo ad un progressivo peggioramento delle discriminazioni e delle diseguaglianze, acuite proprio dalla lunga crisi economica e sociale".
Il segretario della Cgil ricorda che "anche il Fondo Monetario Internazionale recentemente sui danni del sessismo ha denunciato l'Italia come il Paese che ha fatto meno per incoraggiare le donne ad entrare nel mercato del lavoro, aggiungendo che se il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro fosse portato allo stesso livello di quello degli uomini, il Pil guadagnerebbe oltre 15 punti percentuali". "L'Istat, nell'audizione sul Jobs act - conclude Camusso - ha ribadito, numeri alla mano, che negli ultimi anni è aumentata la percentuale delle donne occupate che in corrispondenza di una gravidanza hanno lasciato o perso il proprio lavoro: passando dal 18,4% del 2005 al 22,3% nel 2012 (29,8% nel Mezzogiorno). Sottolineando l'aumento delle donne che sono state licenziate (dal 16% al 27,2%). A dimostrazione che abbandonare il lavoro per il genere femminile è sempre meno una scelta personale. Segno che la strada della condivisione nel nostro Paese è ancora lunga e soprattutto che le politiche economiche del governo sono totalmente inadeguate".