Prova a sgombrare il campo, Matteo Renzi: "la legge elettorale non c'entra niente con il referendum sulla riforma costituzionale", dichiara il premier, 'assediato' dalle richieste di cambiare l'Italicum. Il nuovo sistema di voto, rivendica, è "molto buono", ma per la prima volta dice in chiaro che il Parlamento può decidere se cambiarlo. "A me pare di non vedere una maggioranza, ma non faccio pressioni e non ne parlo più", assicura. Anche perché il tentativo è mettere al centro il messaggio referendario, con una svolta "dolce" nei toni: "Confido nel buonsenso degli italiani. Chi vota "No" tiene le cose come stanno, chi vota sì vuol cambiare. I risultati possono essere sorprendenti - ammette, mettendo adesso nel novero anche una sconfitta - ma poi non si torna indietro". E' una domanda su un'intervista di Carlo De Benedetti al "Corriere della sera" a spingere Renzi ad aprire una lunga parentesi sulla politica italiana, a margine del vertice Nato di Varsavia. Il presidente del gruppo "L'Espresso" condiziona il suo "Sì" al referendum a una modifica alla legge elettorale. E aggiunge che, se si votasse con il ballottaggio dell'Italicum, il leader del Pd "rischia di diventare il Fassino d'Italia", ovvero di perdere contro il M5s. Ma questa possibilità, scuote le spalle Renzi, sta "dentro il gioco democratico: anche con una legge diversa puoi 'non vincere' e la sinistra ha una certa expertise in questo...", afferma con una sorta di riferimento implicito a Pier Luigi Bersani, che è in prima linea contro l'Italicum. Fosse per lui, Renzi non cambierebbe anche perché, spiega, ci pensa la riforma costituzionale a garantire "pesi e contrappesi" democratici. Ma la legge elettorale è una legge ordinaria e dunque, spiega, il Parlamento può modificarla quando vuole. "Leggo di parlamentari disponibili, ma come pensano di fare? Il Mattarellum non aveva i numeri quando lo propose", con il sostegno dei renziani, "Roberto Giachetti", ricorda il premier, che mette così agli atti l'apertura già espressa alla richiesta di parte del Pd (dai franceschiniani alla sinistra) e centristi (ora Ncd è più calma, ma sempre fibrillante). La partita vera, notano però i renziani, si giocherà dopo che, il 4 ottobre, la Consulta si pronuncerà sulla legge, magari bocciandola in parte. E non sarà di certo il governo Renzi l'ostacolo a cambiare. Intanto, c'è il referendum. Sulla data, Renzi 'quota' ancora come probabile ottobre, ma apre all'ipotesi del 6 novembre ("Il 30 ottobre c'è il ponte...") e assicura che non si andrà troppo oltre, "non sotto Natale". Quanto allo "spacchettamento" dei quesiti, il premier scherza sui retroscena di questi giorni apparsi sui giornali ("L'ira di Renzi, hanno scritto...") e sottolinea che spetta alla Cassazione e alla Consulta decidere: "Per come la vedo io, si dovrà votare su una sola scheda, ma per noi nessun problema". Il cruccio, piuttosto, è non essere riuscito a impostare la campagna referendaria come avrebbe voluto. "Il primo ministro albanese Edi Rama, che legge i giornali italiani, mi ha chiesto: 'il referendum sulla legge elettorale quando lo fai?'", racconta. E allora, serve una svolta nel registro comunicativo. Il premier - per attenuare l'effetto di personalizzazione del voto - non evoca le dimissioni del governo in caso di vittoria del "No". E punta, come spiega da Napoli anche il ministro Maria Elena Boschi, a "inchiodare nel merito chi dice no" anche con l'aiuto di quel "pezzo importante dell'Italia migliore che è con noi". Il referendum, spiega il premier, è "cruciale per il futuro del Paese" e se non si cambia adesso la Costituzione non cambierà niente "per un decennio". Dunque sappia, chi vuole abbattere il governo, che potrebbe pentirsene perché dal "No" non si torna indietro. Come per la Brexit. Le reazioni alle parole di Renzi, intanto, sono contrastanti. C'è chi, come Gianni Cuperlo, coglie l'aspetto positivo dell' apertura a modifiche all'Italicum. E chi, come Roberto Speranza, al contrario, accusa Renzi di "negare l'evidenza" a non riconoscere la connessione tra Italicum e riforme. Il 5 Stelle Luigi Di Maio accusa il Pd di "ignorare i problemi reali" per intrattenersi in un "dibattito allucinante". E mentre Sinistra Italiana protesta per il "balletto" sulla data, dal centrodestra è un fuoco di fila contro l'ipotesi spacchettamento dei quesiti: "No ai trucchetti" è l'appello di FI.