"La pandemia di coronavirus ha spostato l'attenzione sulla realtà locale e non si parla più di drammi come quelli dei campi dei migranti a Lesbo o della situazione dei rifugiati in Libia o tra Grecia e Turchia. In questi 4-5 mesi nessuno sa cosa sia accaduto in questi posti, la situazione è peggiorata. La Giornata mondiale del rifugiato sia l'occasione di far emergere queste situazioni". È l'appello lanciato da Berthin Nzonza, rifugiato in Italia e fondatore dell'associazione 'Mosaico', che sottolinea che "quello che abbiamo imparato con questa pandemia è che nessuno può salvarsi da solo, e i diritti universali sono importanti". Nzonza sarà tra gli ospiti domani della conferenza stampa virtuale di presentazione del rapporto annuale 'Global Trends' dell'Unhcr, tra gli eventi promossi dall'agenzia Onu in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato del 20 giugno. Nzonza è arrivato in Italia nel 2002 dal Congo-Brazzaville. Faceva parte di un movimento politico, ma a un certo punto "la vita era diventata rischiosa, così sono andato via", ha raccontato all'ANSA. Arrivato a Torino, "all'inizio era faticoso, l'impatto è stato forte. Mi sono ritrovato per strada. Pensavo di andare in un Paese dove la civiltà era la regola e invece è stato difficile. Questo però mi ha dato anche una spinta per tirare fuori le risorse che avevo dentro". "Per un anno ho girato di dormitorio in dormitorio. Finché ho avuto la fortuna di trovare uno spazio grazie alla Chiesa Valdese, che è diventata un punto di rinascita per me". Nzonza è stato inserito nel programma di protezione dei rifugiati, ma con il riconoscimento della protezione internazionale "dopo un mese sono stato buttato fuori. In quell'occasione, ho avuto la fortuna di trovare un medico che mi aveva curato, che mi ha accolto per due anni e con il quale è nato un rapporto di fratellanza. In questo modo ho avuto l'opportunità di pensare al mio futuro, di credere in me stesso e pensare di dare un contributo al contesto sociale che mi ha accolto". Così nasce l'idea dell'associazione Mosaico per i rifugiati a Torino. "Quando sono arrivato, intorno a me non c'era quasi nulla di servizi. Mi sono reso conto che chi fosse arrivato dopo di me avrebbe incontrato ancora quelle difficoltà. Quindi, con due amici, ci siamo detti di fare qualcosa, dare un supporto perché a noi ci è mancato", ha raccontato Nzonza. L'associazione viene fondata ufficialmente nel 2007, come spazio di espressione per i rifugiati e richiedenti asilo, per superare la visione del rifugiato come un peso per la comunità. Oggi Mosaico è impegnata anche nella risposta al coronavirus a Torino, e ha fornito generi alimentari e prodotti igienici a circa 150 rifugiati, tra questi 15 nuclei familiari con minori. "L'immigrato porta con sé una storia, è una risorsa per tutti. Non è un oggetto ma un soggetto portatore di valore e competenze utili", ha sottolineato Nzonza. L'associazione aiuta a informare chi arriva in Italia "sui suoi diritti, ma anche sui suoi doveri, perché diritti e doveri camminano insieme. E' questo il messaggio che diamo ai rifugiati che si avvicinano al nostro contesto". Da quando è arrivato 18 anni fa, per Nzonza "le cose sono migliorate in Italia per i rifugiati, molte cose sono cambiate senza dubbio. Oggi c'è più attenzione", tuttavia "restano tante cose da fare", ad esempio "valorizzare di più le competenze pregresse degli immigrati" e anche cambiare una certa mentalità della cittadinanza. "L'immigrato non deve essere visto come un peso, come portatore di una malattia e un disagio. Le istituzioni devono dare una mano alla cittadinanza a far capire che chi arriva da fuori non è un pericolo, ma una risorsa".
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Unhcr