"Il mio '68? Se c'e' stata una cosa collettiva è stato il '68. La prima parola che mi viene in mente è partecipazione. Un entusiasmo, una voglia di cambiare che ha toccato tutti, la collettività. In un Paese così individualista come il nostro, portato al 'particulare' come diceva Guicciardini, è già straordinario che ci sia stata la voglia di lavorare tutti insieme. Una grande rivoluzione, anche come metodo", dice all'ANSA Dacia Maraini.
Il Sessantotto 50 anni dopo - LO SPECIALE
"Ha cambiato le regole, il modo di vedere, i linguaggi. Una grande rivoluzione pacifica con delle deviazioni di fanatismo, come sempre, che sono state vinte, non hanno vinto loro. Sono cambiati i rapporti sia nella famiglia che nella società. E le leggi, tutte le grandi leggi del mondo civile, fino a quella attuale sul fine vita. Tutto è cominciato a cambiare nel '68", sottolinea la scrittrice Premio del Campiello nel 1990 con
'La lunga vita di Marianna Ucria' e Premio Strega nel 1999 con i racconti di 'Buio'.
"Poi ci sono quelli che dicono: 'non ha lasciato niente', ma non è vero. E' un paese che si è acceso. Il futuro si costruisce sull'entusiasmo non sulle denunce e le paure. Quando mancano i progetti comuni si cade nelle battaglie per il potere. Senza progetti comuni basati sulla fiducia nel futuro si cade nella lotta per il potere a cui stiamo assistendo adesso".
Il '68, dice la Maraini, "ha lasciato un mondo cambiato. Molte cose sono tornate indietro, ma questo succede purtroppo. E' un momento di remi in barca, di letargo dal punto di vista degli ideali. Una rivoluzione vera si capisce dalla capacità di cambiare i valori, come è stato per la rivoluzione francese e anche nel '68. Quando vado nelle scuole le ragazze non sanno niente di che cosa è stato il '68, però i diritti li rivendicano. Ma sono ottimista, a un certo punto - spiega la Maraini - quando si va sotto terra fino in fondo, poi si risale".