Quando la filantropia fa flop nell'epoca del Coronavirus: l'attrice Reese Witherspoon, che ha anche una casa di moda, a inizio aprile aveva annunciato l'idea di regalare un vestito alle insegnati americane d'America per ringraziarle degli sforzi fatti durante la pandemia.
Il gesto è diventato un boomerang quando un milione tra professoresse e maestre hanno risposto all'offerta e la Witherspoon, a dispetto delle buone intenzioni, è stata costretta a ritirarla: la sua azienda, che dà lavoro a 30 persone, sperava di distribuire un massimo di 250 capi e un milione è sette volte il volume delle vendite effettuate nel 2019. La Witherspoon è diventata così facile bersaglio di centinaia di migliaia di insegnanti deluse.
La lezione è quella mai sufficientemente appresa in caso di grandi tragedie umanitarie, che gli aiuti devono essere mirati e commisurati al bisogno. Ne sa qualcosa John Merz, un sacerdote episcopale di Brooklyn, che si era fatto le ossa otto anni fa durante l'uragano Sandy. "Il desiderio di aiutare è atavico, ma senza coordinamento ci sono sprechi e confusione". Vicario della Chiesa dell'Ascensione nel quartiere di Greenpoint, Merz si è rivolto al vicino Woodhull Medical Center, uno degli ospedali della città più sotto stress: "Non hanno certo la capacità di ricevere mille pizze in orari non programmati. E poi, chi le vuole tutte quelle pizze". Il sacerdote ha fatto leva sulla crisi della ristorazione creata dall'epidemia occupando i locali di un diner della zona e riassumendo i cuochi per preparare cento pasti tre volte al giorno da consegnare a Woodhull, rimasto senza mensa, da un gruppetto di vigili del fuoco in pensione. Morale: "Bisogna chiedere alla gente cosa serve prima di bombardarla col tuo bisogno di aiutare".