Nei grattacieli di New York il coronavirus resta anonimo: col diffondersi dell'epidemia nei palazzi ad alta densità della Grande Mela, l'annuncio sulla mail dei condomini che qualcuno si è ammalato crea tensioni e polemiche. "Non vi pare che dovremmo sapere chi, o almeno a che piano?" è la reazione più comune agli annunci che inquilini sono risultati positivi o sono stati ricoverati. E quando, peggio ancora, non ce l'hanno fatta a sopravvivere, come in un palazzo di Brooklyn dove la notizia che il virus aveva ucciso sei persone è arrivata per passaparola su Facebook, la reticenza dei padroni di casa rischia di accendere una aperta rivolta. La 'single family home' fa parte dell'immaginario a stelle e strisce, ma non è per tutti: sia per motivi economici che geografici 70 milioni di americani vivono in palazzi multifamiliari - spesso piccole città di centinaia di appartamenti - dove ogni uscita negli spazi comuni è motivo di stress: buttare la spazzatura, raccogliere la posta, fare il bucato, salire in ascensore potrebbero diventare motivo di contagio. Alcuni palazzi hanno intensificato le misure di contenimento. Dopo un caso positivo tra lo staff di un grattacielo di Midtown, l'intera lobby è stata chiusa e disinfettata professionalmente. Resta il divieto a più di due persone di prendere l'ascensore assieme a meno che non si tratti dello stesso nucleo familiare. Ai condomini, come dall'inizio della pandemia, viene suggerito di usare guanti e mascherina quando si usano le lavatrici del palazzo. Ma l'anonimato dei contagiati, a dispetto delle proteste, resta ancora la norma, provocando un dibattito simile a quello ispirato dalle app per tracciare i contatti dei casi positivi: viene prima la privacy o la salute del pubblico?