Per lunghi anni i familiari delle vittime della Strage di Bologna hanno chiesto di conoscere i mandanti dell'attentato. Era il tassello mancante e fondamentale, il lato oscuro da scoprire per fare completa luce su quanto accadde il 2 agosto 1980 e forse, ancor di più, per cercare una ragione alla bomba fatta esplodere nella sala d'aspetto della stazione. Quest'anno, per il 40/o anniversario, ci sono finalmente quattro nomi, anche se rimarranno sulla carta: Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D'Amato, Mario Tedeschi. Tutti e quattro sono morti e non potrà mai esserci un processo, né una sentenza di condanna o di assoluzione.
La Procura generale, che nel 2017 ha avocato a sé l'indagine innescata dai dossier presentati dall'assovittime, mandata in precedenza verso l'archiviazione dalla Procura ordinaria, è arrivata alla conclusione che dietro la strage ci sono 'Il Venerabile' della loggia massonica P2, morto nel 2015, in combutta con apparati deviati dello Stato, a coprire e sviare le indagini.
Gelli, già condannato per depistaggio nei processi sulla Strage, avrebbe agito con l'imprenditore e banchiere legato alla P2 Umberto Ortolani, suo braccio destro, con l'ex prefetto ed ex capo dell'ufficio Affari Riservati del ministero dell'Interno Federico Umberto D'Amato e con il giornalista iscritto alla loggia ed ex senatore dell'Msi, Mario Tedeschi. I primi due sono indicati come mandanti-finanziatori, D'Amato mandante-organizzatore, Tedeschi organizzatore. Da deceduti, il loro nome è stato iscritto nell'avviso di fine indagine dove si certifica il concorso con gli esecutori, cioè i Nar già condannati: Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, i primi tre in via definitiva e l'ultimo in primo grado, dopo la sentenza all'ergastolo di gennaio. Ma anche con Paolo Bellini, il 'quinto uomo', altro esponente dei movimenti di estrema destra, ex Avanguardia Nazionale, finito indagato quest'anno, a 40 anni dai fatti, e con altre persone "da identificare" al centro di un ulteriore filone investigativo ancora aperto.
Per collegare mandanti ed esecutori, i magistrati e la Guardia di Finanza hanno seguito il flusso di denaro. Circa cinque milioni di dollari, il presunto prezzo della Strage, partito da conti svizzeri riconducibili a Gelli e Ortolani e alla fine arrivati al gruppo dei Nar, forse anche con una consegna in contanti di un milione, il 30 luglio, e non solo.
"Lui ha i soldi", diceva Carlo Maria Maggi, riferendosi a Fioravanti. Parole in un'intercettazione ambientale nella casa dell'ex leader di Ordine Nuovo: l'argomento della conversazione, la sera del 18 gennaio 1996, a cena, era la Strage di Bologna.
La trascrizione del dialogo tra Maggi e il figlio Marco, visionata dall'ANSA, è agli atti della nuova inchiesta: "Il giudice ha da giorni... ha tracciato che la Mambro e Fioravanti...", chiedeva il figlio, "hanno fatto la strage di Bologna?. Risposta del padre: "Sì sicuramente...sono stati loro". E ancora Maggi: "Eh, intanto lui ha i soldi".
Ma il denaro, secondo gli accertamenti, iniziò a transitare dal febbraio del 1979 e fino al periodo successivo, agli organizzatori, fino ai depistatori. La chiave di volta è stato il lavoro fatto sugli atti del crac del Banco Ambrosiano e sul 'documento Bologna', sequestrato nel 1982 a Gelli. Il 'pizzino' riportava l'intestazione 'Bologna - 525779 - X.S.', con il numero di un conto corrente aperto alla Ubs di Ginevra dal capo della P2.
A questo c'è un riferimento in uno degli atti considerati più importanti dagli investigatori, il 'documento artigli'. E' un appunto per il ministro dell'Interno, classificato come riservatissimo, datato 15 ottobre 1987 e firmato dall'allora capo della polizia Vincenzo Parisi, dove si ricostruiva il colloquio tra il legale di Gelli, Fabio Dean, ricevuto nell'ufficio del direttore centrale della polizia di prevenzione Umberto Pierantoni. "Se la vicenda viene esasperata e lo costringono necessariamente a tirare fuori gli artigli, allora quei pochi che ha, li tirerà fuori tutti", disse Dean, parlando del suo assistito, in quel momento in carcere e di lì a poco interrogato, anche sul 2 agosto 1980. "Tra i documenti sequestrati a Gelli nel 1982 vi sono degli appunti con notizie riservate, che spetterà, poi, a Gelli avallare o meno, sulla base di come gli verranno poste le domande stesse", si legge ancora nel documento, dove si racconta della sera in cui l'avvocato di Gelli, parlando della Strage di Bologna, minacciò lo Stato.