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La parola della settimana: responsabilità (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana: responsabilità (di Massimo Sebastiani)

E' una delle parole più importanti del nostro tempo. Più volte citata dal presidente Mattarella e dal presidente del Consiglio Meloni. ASCOLTA IL PODCAST

08 gennaio 2023, 14:08

Redazione ANSA

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La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA
La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA

Responsabilità è certamente una delle parole più importanti del nostro tempo. Non è un caso che sia una parola della modernità, come abbiamo già detto occupandocene in un paio di occasioni: prima durante l’esplosione della pandemia di Cov Sars 2 e poi tornandoci poco più di un anno fa. Benché la radice del termine sia ovviamente latina, ‘responsabilità’ è espressione che si affaccia sulla soglia della modernità: il primo uso documentato è in un testo che si intitola ‘Il federalista’. E’ una raccolta di articoli di Alexander Hamilton, John Jay e James Madison pubblicata nel 1788 dove viene usata per la prima volta la parola "responsability", per indicare che il governo degli Stati Uniti è responsabile del proprio operato nei confronti del popolo che gli ha delegato i suoi poteri.

E certamente è una delle parole più amate e citate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che dopo averla evocata nelle due occasioni che abbiamo citato all’inizio, durante il suo primo mandato, ci è tornato nel messaggio di fine anno 2022, il primo del suo ‘inaspettato’ secondo mandato. L’ha citata cinque volte e in tutti questi casi la parola evoca anche l’elemento del dovere, del dovere qualcosa a qualcuno, che sia l’attenzione al bene comune o la necessità di misurarsi con la realtà.

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Non è un caso che la parola sia nata all’alba della modernità, legata a quella rivoluzione che ha aperto le porte alla democrazia come la conosciamo ancora oggi. E’ infatti una parola strettamente connessa allo sviluppo e alla valorizzazione dell’individuo che, così come lo intendiamo noi, figli di quella modernità, e come lo intende anche Velasco, prima non esisteva. Individuum, cioè nucleo non diviso, poteva essere anche una coppia o addirittura una famiglia. Responsabilità invece deriva da respondere, cioè rispondere, che a sua volta è composta da re-, indietro, e spondere, promettere. Quindi rispondiamo promettendo qualcosa di rimando, per esempio un comportamento coerente con le regole comuni che ci siamo dati e abbiamo accettato. Perché la responsabilità implica certamente una chiamata in causa dell’individuo ma in quanto connesso e interdipendente dagli altri. Sponsio in latino, ci ricorda il filosofo Salvatore Natoli - che si è occupato della questione della responsabilità a più riprese e anche nel suo libro Parole della filosofia - vuol dire promessa, impegno; suo sinonimo è praestatio, che significa rendersi garante di qualcuno o di qualcosa.

La responsabilità è una presa in carico che obbliga ad una risposta come è ben espresso nella parola tedesca Verantwortlichkeit (Antwort=risposta) e quindi dove c’è responsabilità c’è relazione: che sia quella tra genitore e figlio, tra governo e cittadini-elettori o anche tra individuo e comunità o viceversa. Per questo il pensatore che più di ogni altro nel XX secolo ha riflettuto su questo concetto, Hans Jonas, nel suo 'Il principio responsabilità' parla di un’etica razionalista applicata alle conseguenze che i nostri comportamenti possono avere, non solo in questo momento e non solo su una persona o una situazione, ma sull’intera biosfera. Ed è dunque anche una responsabilità proiettata nel futuro. Jonas, un’allievo di Martin Heidegger e compagno di studi di Hannah Arendt, l’autrice del celebre La banalità del male, che sarebbe piaciuto a Greta Thunberg, distingueva, sulla linea di Max Weber, tra etica della convinzione o etica dei principi e etica della responsabilità. La prima si fonda su principi assoluti, è ideologica e dunque assai meno sensibile alle conseguenze che può produrre; la seconda è l’etica della complessità, basata su sistemi di relazione ed è il risultato di un processo a catena (ed è quello sostanzialmente descritto anche da Velasco nella divertente ricerca dell’alibi da parte dello schiacciatore. Va notato che la bellissima parola alibi, che pure deriva dal latino, significa ‘altrove’ ed è per questo l’esatto opposto della responsabilità). L’etica della responsabilità ragiona costantemente sul bilanciamento di conseguenze e benefici, dove il limite della libertà dell’individuo – che senza limiti non sarebbe tale – è proprio questa responsabilità.

Ci sono molti tipi di responsabilità: la più famosa è naturalmente quella giuridica, che può essere penale o civile, ma c’è anche la responsabilità sociale, oggettiva (anche senza colpa diretta), e c’è naturalmente una responsabilità politica, che è quella richiamata ancora di recente sia dal Capo dello Stato che dalla presidente del Consiglio Meloni (‘mi assumo la responsabilità delle scelte anche se potranno costare in termini di consenso elettorale’). 'Per le persone indisciplinate che vogliono ricevere tutto su un piatto d’argento – ha scritto l’iraniano Saeed Habibaggio zadeh – la responsabilità è un peso di cui si vogliono liberare’'. Perché tutto ciò che è legato alla libertà, come la responsabilità (o la scelta, che ne è sorella stretta), è anche un peso. Lo ha cantato Jovanotti in La linea d’ombra, che guarda caso è anche una canzone sulla genitorialità, il che ci riporta a Denzel Washington, e il passaggio all’età adulta.

 

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