31 GENNAIO
"Il pensiero va soprattutto e anzitutto alla difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. E' sufficiente questo". Nell'era dei tweet, il primo, telegrafico messaggio di Sergio Mattarella, dice molto di questo dodicesimo presidente della Repubblica italiana, consacrato da 665 voti e quattro minuti di applausi del Parlamento. Una vittoria per Matteo Renzi. Il premier aveva scommesso che al quarto scrutino sarebbe stato eletto, entro la fine di gennaio, un presidente del Pd, arbitro super partes e garante della Costituzione. Renzi aveva detto che non avrebbe subito i veti di nessuno, che l'Italicum sarebbe passato al Senato senza intralci, che il Pd stavolta sarebbe rimasto unito.
E aveva garantito che non ci sarebbero stati franchi tiratori e che i Dem avrebbero riscattato la vergogna del 2013, dimostrandosi all'altezza. Tutto ora nei fatti. Ma il premier aveva anche assicurato che non avrebbe candidato un presidente della Repubblica "contro", perchè il capo dello Stato "è eletto dagli accordi e non da un partito" e deve "essere di tutti", "legittimato da una maggioranza ampia". Poi la scelta in splendida solitudine di Sergio Mattarella, etichettato come uomo solo del Pd, aveva scatenato il putiferio, lasciando basiti alleati di governo ed opposizioni. Ma alla fine Renzi, con l'appello a fare di Mattarella il presidente di tutti, riesce nell'impresa di avere un capo dello Stato indicato a dispetto di Berlusconi e Alfano, ma eletto con 665 si'. Quasi la 'supermaggioranza' dei due terzi richiesta nei primi tre voti ed oggi non più necessaria, con i 505 voti della maggioranza assoluta.
Impresa ancor più difficile, Renzi spacca il neonato asse Fi-Ncd, inchiodando alle sue responsabilità di governo Alfano (che alla fine vota Mattarella) e alla sua irrilevanza Berlusconi (davvero scottato dalla vicenda del Colle, con il partito in rivolta e per un quarto disubbidiente all'ordine di scuderia della scheda bianca). Avrà conseguenze nel tempo lo scontro ferocissimo di queste ore in Forza Italia, con i ribelli fittiani tutti schierati su Mattarella. E anche la frattura nel Nuovo centrodestra, dove si dimette il capogruppo al Senato Sacconi e si spaccano filogovernativi e filoberlusconiani. Anche nel Pd, gli ex Ds dovranno forse avviare una riflessione sui veti incrociati e le divisioni che alla fine non hanno consentito oggi a nessuno della 'Ditta' di sedere al Quirinale (come in passato a Palazzo Chigi, al Senato, alla Camera, al Nazareno).
Al Quirinale sale un cattolico moderato, "galantuomo" in tutto diverso dall'irruento giovane premier, politico e giurista mite e dialogante ma fermo ed intransigente contro ogni violazione della legalità e dello Stato di diritto. Ed ora che il Patto del Nazareno ha cambiato pelle - con un premier rafforzato ed un Cavaliere indebolito - tra i primi cimenti di Mattarella potrebbe esserci la moral suasion verso i partiti, perchè le riforme non subiscano battute d'arresto. Nel solco di Giorgio Napolitano.