"Con mio fratello eravamo molto legati e non c'era cosa che ci riguardasse che non ci dicessimo l'un l'altro". Quella frase riferita qualche giorno dopo il delitto del presidente della Regione Piersanti Mattarella, dal fratello Sergio al giudice istruttore racchiude l'intenso rapporto che intercorreva fra i due. Il candidato a capo dello Stato vide morire il fratello, il 6 gennaio 1980. Arrivò sul luogo del delitto dove si trovavano il nipote Bernardo e la cognata Irma Chiazzese. Piersanti era appena entrato in auto insieme con la moglie e il figlio per andare a messa, un killer si avvicinò al finestrino e lo uccise a colpi di pistola. Da allora Sergio scelse di entrare in politica.
Silenzioso, è stato in questi anni sempre in prima fila in tutte le cerimonie in ricordo del fratello del quale ha sempre riconosciuto l'impegno amministrativo per la legalità che fu la causa della sua morte. Osservava: "mio fratello quando era presidente della Regione ha compiuto gesti molto significativi che di per sé, in un ambiente intriso di mafiosità avrebbero potuto provocarne l'uccisione. Come l'ispezione per fare luce sugli appalti per le scuole concesse dal comune di Palermo".
Sergio Mattarella ha sempre inoltre ricordato "lo slancio innovativo nella vita politica del fratello che portò ad esempio all'approvazione delle legge regionale che rese più trasparente l'assegnazione delle opere pubbliche regionali". Un ansia di rinnovamento quella di Piersanti che secondo l'attuale giudice costituzionale "insieme alla sua abilità politica di cui era dotato stavano e non tanto lentamente, riuscendo a creare un'atmosfera diversa e migliore e, soprattutto una classe di dirigenti, che riconoscevano la sua guida e che erano più alieni di tanti altri da compromissioni con ben individuabili ambienti di potere". Ed proprio a quella eredità politica che l'attuale candidato al Quirinale ha sempre detto di ispirarsi.