Caterina D’Andrea, 72 anni, uccisa a colpi di pistola dal marito 76enne Pietro Bergantini a Roma, è la 50esima vittima di femminicidio in Italia dall’inizio dell’anno. Cinquanta donne in meno di sei mesi: a confermarlo sono i dati del Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale della Polizia, che ogni lunedì pubblica sul sito del ministero dell'Interno i dati della strage di donne morte principalmente per mano di coloro che dovrebbero amarle.
Il report è fermo appunto a ieri e porta la cifra di 49 “vittime di sesso femminile” morte per “omicidio volontario” in ambito domestico e famigliare. L’ultimo femminicidio di Roma si aggiunge all’elenco. Nello stesso periodo dello scorso anno le vittime erano state 51 secondo lo stesso monitoraggio della struttura a composizione interforze. In tutto il 2021 sono state uccise 103 donne, 101 nel 2020, 92 nel 2019.
“A oggi registriamo che il numero degli omicidi complessivi nella società italiana è in costante diminuzione”, spiega all’ANSA Stefano Delfini, direttore del Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale della Polizia. Una tendenza che si è consolidata negli ultimi 20 anni. Quello che rimane, invece, "drammaticamente stabile nel tempo e non diminuisce è il numero degli omicidi di donne”.
Delle 49 vittime donne, 29 hanno trovato la morte per mano del partner o dell'ex. Da notare che quest'anno le vittime di omicidio volontario commesso dal partner o ex partner sono tutte di genere femminile.
Nel documento non compare la parola “femminicidio”. "Non esiste una qualifica giuridica autonoma che configuri questo reato”, spiega il direttore del Sac.
"Il monitoraggio esisteva anche prima, ma va avanti con queste modalità dall’inizio del 2000”, dice Delfini. "Per noi è importante ricostruire contesti e ambiti in cui si consumano questi reati, approfondendo soprattutto la relazione vittima/autore. Il nostro codice penale, infatti, è basato sull’autore del reato, mentre per orientare il lavoro delle forze dell’ordine è fondamentale avere delle informazioni anche sulla vittima: per evitare una vittimizzazione secondaria e per avere più elementi sulla relazione con chi commette il femminicidio”.
La questione, ammette Delfini, “è anche culturale. E richiede un intervento ad ampio raggio nella società: penso alle associazioni, alla scuola, ai centri antiviolenza”. Ecco perché servono "mezzi e finanziamenti. La sensibilità sul campo sta cambiando, anche grazie all’entrata nelle forze di polizia di persone giovani e magari con un percorso universitario. Sono tanti gli investimenti che oggi vengono fatti sulla formazione dei giovani colleghi, ma anche verso chi è in prima linea e che deve saper riconoscere la violenza di genere”, conclude Stefano Delfini.