Dopo due anni "horribilis" per il Campidoglio, prima col ciclone Mafia Capitale e poi con la sofferta e anticipata fine dell'amministrazione di Ignazio Marino, i cittadini sono di nuovo chiamati alle urne per scegliere il nuovo sindaco. Davanti hanno un panorama politico molto cambiato: archiviato il "Modello Roma" e i sindaci forti che ne sono stati espressione, Rutelli e Veltroni, passata l'unica esperienza di centrodestra targata Alemanno, liquidata in appena due anni la figura dell'irregolare Ignazio Marino, la geografia politica della capitale è decisamente mutata. Un centrodestra diviso tra Alfio Marchini (sponsor Berlusconi) e Giorgia Meloni (supportata da Matteo Salvini), un Pd commissariato che mette in campo un radicale nel cuore come Roberto Giachetti, una sinistra che corre da sola con Stefano Fassina e quelli contro tutti ma dai sondaggi favoriti, ovvero gli M5S, che tentano il grande colpo con Virginia Raggi. Per il ballottaggio la sfida prevista è a tre: Raggi-Meloni-Giachetti.
Fassina e Marchini, ovvero i voti che incasseranno, saranno l'ago della bilancia per Giachetti e Meloni per accedere al ballottaggio e poi per tentare di vincere la battaglia finale per diventare sindaco. Ma tutti oggi sperano di arrivarci al ballottaggio.
Poi ci sono otto "gregari", candidati che sanno di non avere chance ma ognuno con un suo preciso programma per conquistare magari un posto nell'aula Giulio Cesare: Mario Adinolfi (Popolo della Famiglia), Dario Di Francesco (Lista civica Viva l'Italia, Unione pensionati, Movimento per Roma, Lega centro), Simone Di Stefano (Casapound), Alfredo Iorio (Lista civica Patria Iorio sindaco), Michel Emi Maritato (Assotutela), Alessandro Mustillo (Partito Comunista), Carlo Rienzi (Lista Codacons),Fabrizio Verduchi (Lista Civica Italia Cristiana). La paura però, e i cinque big sfidanti lo sanno, è che la situazione di una città reale che si sente lontana dalla politica (e la lezione dell'assalto al centro rifugiati di Tor Sapienza è ormai di anni fa), possa alimentare l'astensionismo che è l'altro temibile competitor di questa tornata elettorale capitolina. Ieri negli ultimi appelli, dalle piazze, dai tour, dal centro o dalla periferia ogni candidato ha voluto, metaforicamente, fare una chiamata alle urne scongiurando bagni al mare che pure il tempo romano permetterebbe e proprio ad Ostia, l'unico dei quindici municipi a non andare al voto perchè - ironia ma non della sorte- commissariato per mafia.