Matteo Renzi puntella la sua trincea. Mentre si ingrossa il fronte di chi gli chiede di lasciare subito il Pd a una gestione collegiale, lui assicura che le dimissioni sono "vere", tanto che agli interlocutori fa sapere che lunedì potrebbe non essere in direzione. Ma afferma che il punto è un altro: evitare l'inciucio con gli "estremisti" che sarebbe "un clamoroso e tragico errore". "Se qualcuno la pensa diversamente - è la sfida - lo dica in direzione lunedì prossimo o nei gruppi parlamentari".
Ma se Michele Emiliano e Sergio Chiamparino difendono l'apertura all'ascolto dei Cinque stelle, tanti altri respingono al mittente l'accusa di 'trattare'. "Non ho mai pensato sia possibile un governo con M5s e tantomeno con la destra. Sufficientemente chiaro?", dice Dario Franceschini. Ma in un partito nel caos, in cui dopo il tracollo elettorale si susseguono le dimissioni dei segretari regionali, si cerca ancora una mediazione sulla gestione del "dopo".
E scende in campo un nuovo protagonista, Carlo Calenda, che prima di andare in visita alla Embraco, twitta: "Abbiamo dato la sensazione di essere il partito delle elite. Non bisogna fare un altro partito ma lavorare per risollevare quello che c'è. Domani mi vado ad iscrivere al Pd". "Grazie Carlo!", plaude per primo con un tweet, dopo pochi minuti, Paolo Gentiloni. Il premier in un messaggio ai propri elettori assicura che potranno contare sul suo "impegno per Roma e per l'Italia". E in giornata prosegue il suo lavoro a Palazzo Chigi, con un Cdm lampo e i colloqui con i leader europei, a partire da Angela Merkel e Emmanuel Macron, per uno scambio di valutazioni dopo le elezioni italiane. Dal Nazareno intanto Renzi non commenta l'adesione di Calenda al Pd e si limita a far sapere attraverso il suo portavoce di averlo sentito per congratularsi. Ma è molto caldo il benvenuto al ministro di esponenti di rilievo del Pd, a partire dai ministri: Maurizio Martina, Marianna Madia, Anna Finocchiaro, Claudio De Vincenti. E ancora: Luigi Zanda, Piero Fassino, la prodiana Sandra Zampa, Matteo Richetti, che è vicino a Delrio. Calenda può essere il futuro segretario post-Renzi? Il renziano Antonello Giacomelli avverte: "Sembriamo solo alla ricerca delle personalizzazione successiva...".
Ma il ministro smentisce: "Non voglio essere elemento di divisione". Anche Nicola Zingaretti nega di voler fare il segretario. E Sergio Chiamparino, che non esclude il dialogo con M5s né una propria candidatura in futuro alla guida del partito, avverte: "Non è un concorso di bellezza, ora serve azzeramento dei vertici e una gestione collegiale". Come gestire il partito sarà il tema della direzione convocata per lunedì. A chi lo accusa di dimissioni finte, Renzi replica affidando al vicesegretario Maurizio Martina la relazione di lunedì in direzione e ipotizzando di disertare la riunione (ma smentisce di voler andare in settimana bianca quando ci saranno le consultazioni al Quirinale). "Dopo le dimissioni del segretario, sono certo che Martina troverà i toni per l'unità", plaude Dario Franceschini. Ma tra i Dem la tensione è ancora alta. Si dimettono Debora Serracchiani, dalla segreteria nazionale, e i segretari regionali della Campania, Assunta Tartaglione, e dell'Umbria, Giacomo Leonelli.
Andrea Orlando, dalla minoranza, avverte che non è il momento delle "tifoserie", ma predica responsabilità: "Non ci sono governisti a tutti i costi né fautori dell'opposizione duri e puri". Mentre Michele Emiliano invita ad aprire subito al M5s e si spinge a ipotizzare con loro anche la creazione di un "Ulivo 4.0". E' a questo Pd in agitazione che manda il suo messaggio da sinistra Pier Luigi Bersani: "Se nel mondo progressista si smette finalmente di negare il problema, una sinistra plurale potrà riprendere il suo cammino". Il modello può essere la via indicata da Zingaretti nel Lazio, concorda Orlando: "C'è un centrosinistra diverso che vince".
LA CONFERENZA STAMPA DI LUNEDI' IN CUI RENZI ANNUNCIA LE DIMISSIONI