Nel convulso evolversi degli eventi in Libia l'Occidente cerca a Tripoli interlocutori. Una scelta sembra averla fatta il ministro degli esteri britannico, William Hague, che ha chiamato il figlio secondogenito del rais, Saif al-Islam. Hague ha telefonato al secondogenito del leader libico Muammar Gheddafi per comunicargli un appello ad avviare un "dialogo" con i manifestanti; a lui ha detto che la repressione violenta delle proteste è "inaccettabile" e provocherà la condanna del resto del mondo.
A lui ha detto che Londra è "gravemente preoccupata per l'escalation della violenza" esprimendogli "allarme per le notizie sull'alto numero di persone uccise o attaccate dalle forze di sicurezza". Seif al-Islam (in arabo, "Spada dell'Islam"), 38 anni, due lauree all'estero è stato individuato dagli analisti come il possibile successore, ma anche come elemento "illuminato" del regime, quindi anche il volto più "presentabile" alla comunità internazionale. La possibile "alternativa" nel caso il monolitico regime del rais, al potere da 42 anni, non regga nel suo attuale assetto. Meno "capriccioso" dei fratelli, più capace, razionale. Seif al-Islam Gheddafi ha fatto di tutto per accreditarsi, in patria e, di riflesso, all'estero, come elemento e "riformista" del regime, entrando spesso in conflitto con il suo l'establishment e anche con la famiglia, entrando e uscendo da fasi di isolamento, ma sempre al suo posto.
A lui fanno capo una importante Ong, l'unica riconosciuta alla Libia, la Fondazione Caritatevole Gheddafi per lo Sviluppo, con cui ha svolto attività sociale in Libia ma con cui ha gestito anche delicate vertenze internazionali, fra cui l'attentato di Lockerbie, contribuendo alla fine dell'isolamento di Tripoli e allo "sdoganamento" del padre-leader. Ma a lui fa capo anche un importante gruppo editoriale privato, le cui testate hanno negli anni recenti aperto una breccia nella pesante cappa pluridecennale del regime libico sull' informazione, l'Al Ghad Media Group, che controlla tre televisioni e due giornali (relegati ormai al formato online dal regime), Oea e Qurina che, rompendo la cappa ferrea imposta all' informazione nel Paese, negli ultimi due hanno prodotto editoriali critici con amministratori e dirigenti e inchieste su argomenti tabù, e hanno addirittura dato informazioni sulle rivolte di questi giorni, sui morti, sulla repressione. Quanta di questa informazione sia sfuggita al controllo del regime di cui è figlio e quanta sia in realtà "tollerata" non è chiaro. Ma è chiaro che, nell'indecifrabile magma delle prevedibili lotte di potere accelerate dagli eventi, le sue credenziali emergono chiare.
Il figlio primogenito di Gheddafi, Mohammad, nato dal primo matrimonio, presiede il Comitato olimpico nazionale; il terzogenito Saadi ha avuto una breve carriera come calciatore anche in Italia (Perugia e Sampdoria). Ma nei giorni scorsi il tentativo di presentarsi ai rivoltosi come "governatore" nella città in fiamme di Bengasi si sarebbe rivelata un fallimento, e si è trovato assediato nell'albergo dai rivoltosi. Solo l'intervento degli uomini scelti di Abdallah Al Senoussi, genero e capo della guardia speciale del padre-rais Gheddafi lo hanno salvato e riportato a Tripoli.
Quanto agli altri, il quartogenito Mutassim, è ufficiale nell'esercito libico, anche se indicato in passato come possibile delfino.
Quanto al quintogenito, Hannibal, i riflettori sono arrivati su di lui soprattutto per le sue intemperanze, come quando a Ginevra nel 2008 fu arrestato con la moglie e rilasciato pochi giorni dopo per aver maltrattato i suoi domestici: un episodio che ha provocato una lunga, complicata crisi diplomatica fra Libia e Svizzera.
Gheddafi ha anche una figlia, Aisha, che è avvocato ed ha difeso, fra gli altri Saddam Hussein, mentre il figlio più piccolo, Khamis, è ufficiale e, secondo voci non confermate, avrebbe preso parte o addirittura diretto la repressione attraverso i "mercenari" africani.