di Lorenzo Trombetta
I tagli delle schegge lignee del pulpito della moschea del palazzo presidenziale, dove lo scorso giugno scoppio' una bomba, sono ancora evidenti sul viso del sessantanovenne presidente yemenita Ali Abdallah Saleh, rientrato a sorpresa in patria dopo tre mesi di convalescenza nella vicina Arabia Saudita e che ora tenta di riprendere la testa del regime scosso da oltre sette mesi di proteste senza precedenti. Prima del febbraio scorso, il battagliero rai's, al potere da 33 anni, era impegnato a gestire l'endemica instabilita' del Paese, diviso da spinte secessioniste a sud e ribellioni degli zaiditi sciite a nord, e indebolito dalla presenza di cellule terroristiche ispirate ad al Qaida nelle regioni orientali e occidentali.
Prima come leader militare dello Yemen del Nord, e poi come presidente della nazione intera dopo la riunificazione da lui fortemente voluta e ottenuta nel 1990, in tre decenni Saleh ha pero' dimostrato straordinarie doti di vitalita', politica e non solo: di lui si dice tra l'altro che sia riuscito a sopravvivere a quasi un centinaio di attentati. L'ultimo compiuto nel giugno scorso: inizialmente attribuita al bombardamento di artiglieria da parte di un'ala dissidente dell'esercito, l'esplosione avvenuta nella moschea pare sia stata causata da un ordigno all'interno della sala di preghiera, posto, dunque, da uno dei suoi piu' stretti collaboratori.
La forza di Saleh, sciita, e' dovuta forse al fatto che nel corso dei decenni ha dedicato piu' tempo a consolidare il potere della sua famiglia che non a gestire la complicata situazione del suo Paese, dilaniato da rivalita' tribali, spinte secessioniste, crisi economica e infiltrazioni terroristiche. Non a caso suo figlio Ahmad e' capo della Guardia repubblicana; tre suoi nipoti - Ammar, Yahya e Tareq - occupano rispettivamente le cariche di vicedirettore della sicurezza nazionale, capo della sicurezza centrale, e capo della Guardia presidenziale.E al comando delle forze aeree c'e' un suo fratellastro. Sin dai primi anni, Saleh ha governato col pugno di ferro, ricorrendo anche alla fucilazione di oppositori veri o presunti. Pur avendo avuto un'istruzione limitata, riusci' a salire in fretta tutti i gradini della carriera militare e a diventare nel 1978, a soli 35 anni, il principale dirigente nord-yemenita e da li' lanciare l'offensiva per la riunificazione.
Oltre agli ideali politici, allora c'era anche il sogno - di certo non realizzato - di unire le forze per sfruttare meglio le risorse petrolifere del Paese ed affrancarlo dal sottosviluppo, come i 'vicini ricchi' del Golfo. Da tempo pero' le sue capacita' politiche si erano appannate. Da mesi l'opposizione e la piazza lo accusano ferocemente di aver sperperato denaro senza assicurare stabilita'. E un buon argomento, in questo senso, e' ad esempio la grande moschea di Sanaa, completata quattro anni fa al costo di almeno 120 milioni di dollari. E a lui intitolata.