Naqba è un termine che in arabo significa 'catastrofe', 'cataclisma', e che ricorda l'esodo o la cacciata - a seconda delle versioni israeliana e palestinese - di oltre 700.000 palestinesi che, in seguito agli eventi bellici successivi alla creazione dello stato di Israele, il 15 maggio 1948, dovettero abbandonare le loro case e terreni quello che era ormai lo Stato ebraico, senza possibilità di ritorno. Il termine fu usato per la prima volta dallo scrittore siriano Constantine Zurayk nel 1948 ma solo diversi anni dopo è entrato nella narrativa palestinese dove il ricordo della Naqba ha assunto toni altamente drammatici.
A partire dagli anno '90 - con l'avvio di una dialogo aperto tra Israele e Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) e davanti alla possibilità, rimasta finora sulla carta, di una soluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese - soprattutto da parte delle organizzazioni che rappresentano i profughi palestinesi, la Naqba ha inteso anche significare una forte riaffermazione del diritto dei rifugiati e dei loro discendenti a tornare alle loro case e nei loro villaggi in Israele. Un diritto che i palestinesi considerano non negoziabile e che è parte del sentire nazionale palestinese. Israele rifiuta nel modo più assoluto il ritorno di masse di profughi, nella convinzione che ciò significherebbe la sua fine come Stato ebraico.