FOTOREPORTAGE - Shabab cantano vittoria
Tra i ribelli che hanno espugnato il bunker uccidendo mercenari
dell'inviato Claudio Accogli
TRIPOLI - "Io sono un medico: non avrei mai immaginato di imbracciare le armi per la Libia, è tutto per colpa di Gheddafi". E' uno degli Shabab che esce stremato dal compound del Rais occupato oggi dalle forze ribelli dopo 24 ore di durissima battaglia. "Ne ho uccisi cinque. Potevi vederli, erano al massimo a 500 metri, è stato quasi un corpo a corpo", racconta Al Hobab, stanchissimo e disgustato dai saccheggi all'interno del bunker: "non gli ho mai visti in prima linea". E Gheddafi? "Non so dove sia. Ma lo troveremo", giura. "Ne ho uccisi parecchi. Mi sento felice", racconta invece Emjad, uno dei cecchini arrivati dalle montagne: "ma mi sento un po' triste ad aver ucciso ragazzi come me, libici come me, ma nel bunker c'erano soprattutto mercenari, che combattono solo per soldi". "Io invece combatto per la nostra libertà, per la nostra patria".
Quelli che vengono dalle montagne "hanno combattuto più duramente. Dalle nostre parti il regime ha mostrato il suo volto più duro e feroce. Basta farsi un giro per vedere come ci ha ridotto. Le strade sono ancora tutte sterrate". Sono loro che ci offrono riparo alla fine della giornata, e ci regalano il bene più caro in queste ore a Tripoli: un po' di elettricità e un buon caffé. Dal bunker c'é chi porta via i frigoriferi, stereo, bottiglie di vino. Non si vogliono far riprendere né tantomeno intervistare. Ma proprio quando la vittoria sembra ormai raggiunta, e la tana di Gheddafi pronta ad essere devastata da un'orda di ragazzini armati di coltelli e machete, sul compound arriva una pioggia di colpi di artiglieria. E' il panico: i combattenti stremati dicono che non c'é nulla di cui aver paura, poi in realtà sono costretti ad arretrare per centinaia di metri.
La fuga è generalizzata, i colpi non si risparmiano. Le forze del Rais sono attestate a qualche chilometro. Anche la loro è stata una fuga precipitosa, sotto i colpi dei ribelli, con i jet Nato che per tutto il giorno hanno martellato le postazioni dei fedelissimi del Rais. A piazza Verde, poco più lontano, soldati e civili stendono una gigantesca bandiera ribelle: i più scaltri dicono di fare in fretta. La zona è sotto i colpi dell'artiglieria del Rais, e il cielo è illuminato dai fari della piazza, ma soprattutto dai traccianti dell'antiaerea dei gheddafiani, usata come fossero mortai. Intanto però si scatena la festa: ovunque è un crepitio di colpi di Ak 47 e clacson.
Donne e bambini si riversano in macchina sulle strade, ora che sembra svanito il terrore causato dai cecchini, che nell'arco di 24 ore hanno falciato tutto quello che si trovavano di fronte, combattenti ribelli, civili, bambini. Tornando verso la zona occidentale della capitale, quella lungo la strada che porta a Zawiah, l'atmosfera è più rilassata. Si fa per dire: dai piani alti degli edifici spuntano i cecchini ribelli attestati nei pressi dei check point. "E' per impedire che i Pick-up dei gheddafiani possano fare come nei giorni scorsi, arrivare a tutta velocità e a mitra spianati. Hanno fatto tante vittime", ci racconta uno Shabab che parla inglese, mentre gli anziani preferiscono l'italiano, che hanno studiato a scuola prima dell'avvento del regime, oltre 40 anni fa. La libertà sembra definitivamente raggiunta, ma negli occhi di molti si legge il timore che la Libia possa conoscere altri giorni di sangue.