A Dufan decine di carri armati interrati
Insorti in base 32/a brigata prendono blindati e armi
dell'inviato Claudio Accogli - foto di Ciro Fusco
DUFAN (50 KM A EST BANI WALID) - I ribelli del checkpoint di Aleasar Kateba, nel settore sud di Misurata, non stanno nella pelle: di buon mattino hanno una missione rischiosa e altrettanto importante. L'obiettivo è una base della famigerata 32/a Brigata corazzata, quella di Khamis Gheddafi, dove giorni fa hanno scovato una decina di mezzi blindati nascosti e mimetizzati nel bel mezzo del deserto, miracolosamente scampati ai raid della Nato, che hanno invece polverizzato i centri di comando e controllo della base.
Dopo aver tentato di recuperare i mezzi, alcuni carri armati e diversi blindati, ed aver incontrato il fuoco nemico, a colpi di lanciarazzi e mortai, oggi hanno deciso di partire in forze. Di buon mattino, aiutati da una inaspettata brezza, una trentina di pick up in assetto da guerra parte alla volta della base.
A bordo vengono caricati i Grad, i katiuscia, le mitragliatrici pesanti. Oltre 120 Thuwar sono decisi a portare a casa il tesoro, i carri di Khamis. La distanza non è molta, circa 50 km dal checkpoint, ma la base si trova poco a est di Bani Walid, dove centinaia di fedelissimi del rais ostentano una resistenza agguerrita da giorni, e dove i negoziati per una soluzione pacifica procedono a rilento.
Oltretutto, la colonna dei ribelli è 'appesantita' da quattro Tir, sui quali caricare i mezzi blindati da portare a Misurata. Il vento alza la sabbia tutt'intorno le cave, da dove per settimane gli uomini del rais hanno continuato a martellare e uccidere le avanguardie Thuwar che accerchiavano Bani Walid. Si parte, la strada è in gran parte sterrata, ai lati distese infinite di sassi e cespugli: il luogo ideale per tendere imboscate.
La colonna procede veloce, alcuni avanzano per monitorare la situazione, ma i Tir rischiano di rimanere troppo indietro. Occorre fermarsi ogni tanto, e la tensione sale alle stelle. In cielo non volano i jet Nato, con i ribelli che segnalano passo passo le proprie posizioni per non finire sotto un fuoco amico e devastante. Dopo circa un'ora e mezza ecco la Santa Barbara: la base di Khamis, come le altre incontrate in Libia, è semidistrutta. Gli alloggi si sono salvati, ma all'interno la scena è sempre la stessa: abiti, oggetti personali, valigie, tutte cose lasciate dai soldati di Gheddafi costretti a una precipitosa fuga.
Forse verso la vicina Bani Walid, forse in abiti civili verso casa o ripari sicuri. Quando i ribelli accendono il primo mezzo, in ottime condizioni, le grida di gioia e le invocazioni ad Allah risuonano nel silenzio del deserto. Un paio di ore e tutti i blindati, alla fine saranno una decina, vengono tirati fuori dalle buche dove erano nascosti. "Vogliamo evitare che i gheddafiani possano utilizzare questi mezzi, li porteremo a Misurata, e semmai li useremo contro di loro", assicura il colonnello Bashir, che segue passo passo tutta l'operazione. Il sole inizia a picchiare, e verso mezzogiorno i ribelli riprendono la strada per il check point. E' un rientro rilassato, quasi allegro: gli uomini del rais non tenteranno sortite, di fronte a una colonna così bene armata e agguerrita. L'accoglienza al checkpoint è trionfale, i maccheroni libici vengono offerti a tutti, stranieri compresi.
Tutti si vogliono far fotografare con il bottino, che comprende anche alcuni tavoli per il ping pong. Poi i ribelli, uno ad uno, riconsegnano le armi avute all'inizio della missione: "Vogliamo evitare il caos. Qui nessuno ha armi proprie. Le riconsegnano alla fine di ogni missione. E alla fine della guerra le consegneremo al Consiglio militare di Misurata", spiega Ahmed Belhaj, vicecomandante del gruppo che implora: "Scrivilo che siamo stati noi, i ribelli di Aleasar a portare a termine questa missione, a trovare i mezzi e a portarli a casa".