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12 settembre, 21:54 Photostory Primopiano

REPORTAGE - Tra i ribelli impazza lo stile mujaheddin

Barbe lunghe anche per moda, ma gruppi islam radicale in agguato

© ANSA
Tra i ribelli impazza lo stile mujaheddin © Ansa

dell'inviato Claudio Accogli

MISURATA - "Vedi quello? Fino a ieri fumavamo insieme l'hashish e bevevamo whisky: ora si è fatto crescere la barba, va in giro con l'Ak-47 e gli piace sentirsi chiamare mujaheddin": la confessione arriva da un ribelle 34enne di Misurata, che preferisce rimanere anonimo. Ma le sue parole restituiscono comunque l'immagine di una rivoluzione che inizia a guardare sempre più attentamente all'Islam, come dimostra la bozza di costituzione del Cnt circolata nei giorni scorsi che individua nella sharia, la legge islamica, la prima fonte del diritto. Tra i più giovani 'vestirsi da mujaheddin' è quasi un fatto di moda.

"Le ragazze ci guardano di più", ammicca un 20enne a un posto di blocco. Ma nei Kateba, gli accampamenti, la situazione è più seria: "Non scattare foto, altrimenti dicono che siamo di al-Qaida", si sente ripetere da giorni. All'ora della preghiera poi, i 'comandanti'- in realtà non ci sono gradi nell'esercito irregolare dei ribelli, tranne per i militari che hanno defezionato dalle forze del rais - officiano il rito, in particolare quello delle 18.30. I miliziani percepiscono l'interesse dei cronisti, e mettono le mani avanti: "Noi beviamo, facciamo quel che ci pare, non dare retta a come siamo vestiti ora", dicono, assicurando che con la fine della guerra "torneremo a vivere normalmente, non sembreremo talebani". "Ho combattuto per la libertà e per la pace. Finita la guerra tornerò a fare il camionista. La storia dei mujaheddin é solo una moda", conferma Ibrahim Mohammad al-Bus, leader di uno dei più agguerriti e celebri gruppi armati di Misurata, che oggi conta su oltre 1000 combattenti, che prende il nome dal fratello di Ibrahim, Mohammad, un eroe della rivoluzione ucciso ad aprile.

"Fino a gennaio scorso i giovani erano molto 'in stile' occidentale, anche qui a Misurata. Grande attenzione al taglio delle basette, dei baffi, molta gelatina", racconta Abdullah al-Kabir, uno degli scrittori più celebri della 'citta' martiré. "Molti stanno al fronte da mesi, la barba non la tagliano per necessità. E' vero che ci sono dei gruppi islamici che cavalcano l'onda, ma sono delle minoranze, non hanno futuro".

Oggi in Libia "tutti hanno accesso a internet, ai social network, alla PlayStation: la società è cambiata. Ci sono i pub, i biliardi aperti fino a tardi. Certo, l'alcol è proibito, e secondo me resterà tale in tutto il Paese", continua al-Kabir, convinto che "come in passato ci saranno delle isole per gli stranieri, in particolare a Tripoli, dove si potrà anche bere. Ma solo per gli stranieri, per la società libica legalizzare l'alcol sarebbe inaccettabile". Discorso simile per i libri, molti dei quali messi all'indice dal regime di Gheddafi: "Siamo liberi di scrivere quello che vogliamo, ma attenzione a sesso e religione, perché sarà possibile trattare questi temi ma anche molto, molto pericoloso", conclude lo scrittore, che confessa di avere in programma un libro sulle relazioni tra uomini e donne, che scriverà "in una maniera opportuna", insomma in modo da evitare un processo. O peggio.

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