Schumacher, il figlio del vento
La corsa più dura del pilota amante del brivido e della velocita'
Michael Schumacher, il rischio come mestiere. Una vita passata a guardare in faccia il pericolo. Sulle monoposto di Formula 1, sulle moto da corsa, sui velocissimi kart, appeso a un paracadute, a sci paralleli e fuoripista in discesa sulla neve, arrampicato a una roccia.
Sempre di corsa, sempre al limite. E non solo per vincere un titolo o per ottenere guadagni. Ma per la sola forza dell' agonismo che, come un demone, da sempre lo spinge ad andare oltre i propri limiti. Lo ha fatto per 19 anni in Formula 1, il più grande pilota di sempre, l'uomo che con la Ferrari ha vinto tutto quel che poteva vincere e che osava sempre l'inosabile. Le vittorie più belle le ha ottenute sulle piste bagnate, sotto la pioggia battente, quando ogni pilota ha paura di spingere il piede sull' acceleratore, ma lui meno degli altri.
Per non dire dei sorpassi in curva, con il piede che cede il gas all'ultimo metro utile, per sorprendere l'avversario e infilarlo in uscita. Non è roba solo per grandi piloti, ma soprattutto per amanti del rischio, calcolato fino alla fine, ma pur sempre rischio. Quando nel 2006 lasciò la Ferrari e la Formula 1, prima del breve rientro con la Mercedes, Schumacher sapeva che non avrebbe fatto il pensionato. L'ex pilota tedesco ha sempre nascosto un'irrefrenabile attrazione per il brivido.
Lasciate le auto, si è cimentato con le moto. Bolidi con cui non ha mai avuto tanta dimestichezza, ma la cosa non gli ha impedito di puntare alle alte velocità. Nel 2009 a Cartagena fu protagonista di una brutta caduta, con conseguenze serie per vertebre e una spalla, tanto da dover rinunciare a una nuova chiamata della Ferrari. Troppi dolori, e tanto malumore. Lui, che non si era certo rassegnato a fare il pensionato di lusso in Svizzera, e che continuava a correre sui kart nella pista della sua città natale Kerpen, non sognava altro che di tornare in una pista vera di Formula 1, e quella rinuncia lo fece soffrire. Nel 2010, ormai guarito, disse sì a una richiesta analoga della Mercedes, sapeva che non avrebbe potuto competere ai livelli di sempre, e che avrebbe dovuto gareggiare contro 'ragazzini' spavaldi e vetture competitive, ma la sola idea di rimettere in moto il suo spirito adrenalinico gli fece accettare quell'incarico, passando pure sopra al bon ton nei confronti della Ferrari, di cui era diventato uno di famiglia.