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di Claudio Sebastiani
PERUGIA - Raffaele Sollecito e Amanda Knox non hanno ucciso Meredith Kercher. La Corte d'assise d'appello di Perugia li ha assolti con la formula più ampia, per non avere commesso il fatto, dall'accusa di omicidio. Dopo poco meno di quattro anni passati in carcere. Ordinandone l'immediata scarcerazione.
Così poche ore dopo la sentenza i due ex fidanzati hanno potuto lasciare il carcere diretti entrambi verso casa, la Puglia di Raffaele e gli Usa di Amanda. Una sentenza che spazza via le condanne a 25 e 26 anni di reclusione che stavano scontando in cella in seguito all'arresto da parte della polizia all'alba del 6 novembre del 2007. Quattro giorni dopo che Meredith Kercher, studentessa inglese a Perugia per studiare, era stata uccisa nell'abitazione di via della Pergola che divideva con Amanda e due italiane. Anche se loro hanno sempre negato di avere ucciso la giovane inglese.
Una sentenza accolta dalle urla e dai fischi dei tanti in attesa davanti al palazzo di giustizia perugino. Accompagnati dal coro "vergogna" durante le interviste di alcuni dei difensori alle principali tv mondiali. In aula i familiari di Meredith Kercher, la madre Arline, la sorella Stephanie e il fratello Lyle, avevano assistito praticamente attoniti alla lettura della sentenza. I giudici hanno inflitto tre anni di reclusione alla Knox per la calunnia a Lumumba. Pena comunque già scontata. Il processo d'appello ha avuto il suo snodo nella perizia genetica disposta dalla Corte il 18 dicembre del 2010 su richiesta delle difese mentre era stata loro negata in primo grado. Esame che ha riguardato il coltello indicato dall'accusa come l'arma del delitto e il gancetto del reggiseno indossato da Meredith quando venne uccisa a Perugia, la sera del primo novembre del 2007.
I giudici avevano infatti accolto la richiesta delle difese richiamando la regola posta dall'articolo 533 del codice di procedura penale. Quella che prevede la condanna "soltanto se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio".
I giudici avevano quindi rilevato che "la individuazione del Dna su alcuni reperti e la sua attribuzione agli imputati" risultava "particolarmente complessa per la obiettiva difficoltà da parte di soggetti non aventi conoscenze scientifiche di formulare valutazioni ed opzioni su materie particolarmente tecniche senza l'ausilio di un perito d'ufficio". I periti, dopo avere stabilito di non poter ripetere gli esami svolti dalla polizia scientifica, hanno ritenuto "non attendibili" i risultati raggiunti.
In particolare per il Dna attribuito a Sollecito, misto a quello della vittima, sul gancetto del reggiseno e di Meredith sulla lama del coltello. Valutazione fatta esaminando i documenti già agli atti. I periti hanno così definito "inattendibile" il profilo genetico attribuito alla Kercher perché "non supportato da procedimenti analitici scientificamente validati".
E per il Dna di Sollecito hanno parlato di "erronea interpretazione del tracciato elettroforetico relativo al cromosoma Y". Per entrambi i reperti, poi, secondo i periti "non si può escludere che i risultati possano derivare da fenomeni di contaminazione". Conclusioni che hanno dato ragione a quanto sempre sostenuto dalle difese di Sollecito e della Knox, nonché dai loro consulenti. Una prova scientifica "sgretolata" dai periti della Corte d'assise d'appello di Perugia come ha più volte sostenuto l'avvocato Giulia Bongiorno, l'ex avvocato di Andreotti che ha curato la difesa di Sollecito.
Eliminando quello che il legale ha sempre considerato "l'unico indizio" a carico del giovane pugliese. Una perizia dalle conclusioni considerate "ineccepibili" dai difensori della Knox, gli avvocati Luciano Ghirga e Carlo Dalla Vedova. Per capire perché i giudici abbiano assolto Sollecito e la Knox sarà necessario attendere le motivazioni della sentenza. Appare però chiaro fin d'ora che il ragionevole dubbio ingenerato dalla perizia abbia avuto un ruolo forse determinante.
Certamente maggiore dei testimoni sentiti in appello su richiesta delle difese, come l'ex pentito Luciano Aviello e Mario Alessi, l'assassino di Tommaso Onofri. Un dubbio forse in grado di mettere in discussione anche le altre prove raccolte dai pubblici ministeri e alla base della sentenza di primo grado. Come le parole di Guede che aveva collocato i due giovani sulla scena del delitto, le impronte dei piedi nudi in casa e le testimonianze. Una sentenza quella d'appello che i magistrati (che avevano chiesto la condanna all'ergastolo) sono comunque pronti a impugnare in Cassazione. Intanto però da stasera Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono di nuovo liberi.