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Non tutto il denaro ha la stessa importanza

Predisporsi all’uso di “cassetti mentali” per i propri investimenti ed imparare a tenerne sotto controllo la “rotta”

di Fabrizio Pirolli (esperto di formazione bancaria e assicurativa)
Pier Tommaso Trastulli (consulente finanziario)*

 

Le teorie dell'economia e della finanza comportamentale - che sin dagli Anni Sessanta del Novecento studiano gli effetti di fattori psicologici, sociali, cognitivi ed emotivi sulle decisioni economiche e finanziarie degli individui - ci hanno ormai dimostrato che essi non sono esseri razionali come la teoria economica classica cercava di dimostrare. Al contrario, quando elaborano le informazioni (spesso incomplete o complesse) per prendere le loro decisioni, le persone usano regole generalizzate chiamate ‘euristiche’ per gestirle e risolvere i problemi.

 

Sono regole mentali semplici ed efficienti, apprese o derivanti da processi evolutivi, che ci consentono di trovare soluzioni senza la garanzia che esse siano ottimali o perfette. Alle conoscenze si sostituiscono spesso le emozioni. Conoscenza ed emozioni, infatti, hanno un ruolo chiave nelle decisioni economiche e finanziarie: le persone sono influenzate dalle esperienze passate, dal contesto in cui vivono, dalle proprie convinzioni e dalle proprie attitudini (ad esempio dalla propensione o avversione al rischio). Assumono perciò sempre più importanza alcuni fattori, utili per aiutare risparmiatori e investitori a migliorare il proprio livello di consapevolezza delle scelte: tra di essi, il Metodo.

 

A tal proposito, una strategia sempre più usata anche dalle grandi case d’investimento internazionali e che si sta diffondendo anche tra gli investitori è rappresentata dal Goal based investing, che propone un approccio razionale e pianificato dei propri investimenti.

 

Nella costruzione di un portafoglio composto da diversi assets, infatti, normalmente ci si affida a tre criteri guida: la valutazione di adeguatezza, il confronto coi benchmark, ed il fattore tempo. Questa metodologia consolidata, tuttavia, porta a considerare tutti gli investimenti come un unico blocco, anche nella rendicontazione che il risparmiatore riceve periodicamente.  Per l’investitore, però, non tutto il denaro ha la stessa importanza: una cosa sono le somme accantonate per far fronte alle spese correnti, un’altra sono quelle destinate a quelle accessorie, altro ancora quelle che pensa di sostenere per spese future certe (l’università per i figli, l’integrazione della pensione) oppure incerte (accantonamenti per rischi di varia natura).

 

Egli avrà, dunque, scopi di brevissimo, breve, medio, lungo (o addirittura lunghissimo) termine. Pertanto, sarà diversa la sua reazione se, ad esempio, verificherà che sta subendo momentaneamente una perdita sulla componente a breve (timore di non riuscire a pagare le bollette il mese prossimo senza intaccare il suo tenore di vita) piuttosto che su quella a lungo o lunghissimo termine (destinata a sostenere gli studi universitari dei figli, che oggi hanno, ad esempio, 10 e 12 anni)! Ovviamente non ne sarà felice, ma sarà consapevole che, se ben consigliato all’inizio, gli strumenti pluriennali in cui ha investito una parte del suo patrimonio sono, strutturalmente e storicamente, anche quelli che, a fronte di notevoli oscillazioni hanno altrettante capacità di recupero: i mercati azionari ne sono un esempio evidente.

 

Dare un nome ai propri desideri, ai propri sogni, aiuta a non focalizzarsi solo sulla performance, ma sul processo necessario a raggiungerli; a fare goal, appunto, come fanno i calciatori di talento. “L’unico limite è la fantasia!, come dice Luciano Scirè, fondatore di Goal based investing Italia, e tra i primissimi a diffondere nel nostro Paese questi concetti. Applicando questa metodologia, aggiunge: “investitore e consulente individuano sin da subito a cosa servirà quel denaro. In questo modo il linguaggio cambia: l’investitore comprende meglio l’uso della finanza e approccia con metodo l’incertezza”. È un cambiamento “culturale”. 

 

In questo modo, costruendo non uno ma più portafogli ed assegnando a ciascuno di loro una ‘missione specifica’, sarà più facile tenere sotto controllo l’emotività indotta dai mercati, si eviterà di ‘confondere una parte col tutto’, il rischio non sarà più espresso dalla volatilità ma dalla probabilità di non raggiungere l’obiettivo e la condivisione del processo, partendo dal concetto di “efficacia” (identificare prima le cose ‘giuste’ da fare) per poi arrivare a quello di “efficienza” (fare le cose ‘nel modo giusto‘ per arrivare allo scopo), coinvolgerà il risparmiatore e gli fornirà una chiara percezione del valore della prestazione professionale (value for money).

 

Pertanto è assai probabile che chi ha un obiettivo importante da raggiungere tollererà il disagio di una perdita momentanea, mentre chi usa indicatori arbitrari avrà una minore capacità di mantenere la rotta che si era assegnata. A questi ultimi ricordiamo la vicenda di Ferdinando Magellano, il famoso navigatore portoghese che si era proposto all’imperatore spagnolo Carlo V° affermando di essere in grado di raggiungere le Isole delle Spezie (le Molucche) per annetterle alla corona spagnola seguendo una nuova rotta che avrebbe consentito di non incrociare le flottiglie nemiche. Non lo faceva solo per la gloria: per contratto, se ci fosse riuscito avrebbe ricevuto una quota parte di proventi attuali e futuri della spedizione ed i suoi eredi sarebbero stati nominati governatori delle nuove terre. La motivazione era forte, l’obiettivo importante.

 

Eppure, nel viaggio iniziato da Siviglia il 10 agosto 1519, accadde di tutto: la flotta finì per svernare nell’allora inesplorata Patagonia, ci furono ammutinamenti, diserzioni di navi e malattie procurate dalla scarsità di cibo prima che, finalmente, quello che si riteneva solo un fiordo (lungo, però, ben 500 chilometri!) si rivelasse, in realtà, un passaggio che portò Magellano ed i superstiti a navigare in quella ‘nuova’ parte del Mondo che, per la tranquillità delle acque -dopo tante peripezie- egli chiamò “Oceano Pacifico”. Ci erano voluti 14 mesi, ma alla fine il Portoghese era riuscito nella sua impresa!

 

E come può fare chi voglia valutare se lo scostamento dal tragitto ipotizzato sia talmente grande da mettere in pericolo il risultato finale?  Sarebbe opportuno dotarsi mentalmente di una sorta di “Cono di Ibbotson”. Di cosa si tratta? A metà degli Anni Settanta, due brillanti allievi dell’Università di Chicago, Robert Ibbotson e Rex Sinquefield, lavorando sul concetto di “efficienza dei mercati” (i mercati catturano istantaneamente nuove informazioni e le incorporano nei loro prezzi), tentarono di ‘imitare’ il mercato con un portafoglio così ampio da essere isolato dalla volatilità dei singoli titoli.

 

Partendo da un database sviluppato presso la loro università, raccolsero nuovi dati, aggiornandolo fino al 1975 e aggiungendo dati di rischio e rendimento per titoli di stato, buoni del tesoro ed inflazione. Ciò rese possibile confrontare per la prima volta le prestazioni di vari mercati nel tempo e fare previsioni a lungo termine; tanto che i loro studi influenzarono le ricerche in questo campo per i decenni successivi. Il cono di Ibbotson (il ‘povero’ Sinquefield non è mai menzionato!) fornisce una rappresentazione grafica delle probabili performance di diversi portafogli di investimento in base alla loro esposizione a varie classi di asset, collegandone il possibile rischio alla possibile redditività.

 

Il cono mostra una serie di ipotesi, ciascuna rappresentante un livello di probabilità di rendimento futuro, associate ad una serie di curve dall’andamento piuttosto dolce che partono tutte dal medesimo punto. Immaginiamo di essere novelli Magellano e partire per il nostro lungo viaggio. Nel grafico che mostriamo, la curva centrale, quella in grigio, è una retta inclinata positivamente che mostra i profitti accumulati nel tempo qualora il rendimento ottenuto coincida con quello atteso, cioè quando il viaggio proceda senza nessuna scossa: praticamente un’ipotesi solo teorica. Più in alto, in verde lo scenario più ottimistico, ovvero l’arrivo senza problemi alla destinazione volute.

  

 

Subito sotto, in giallo, l’ipotesi di uno scenario mediamente positivo: qualche problema si verificherà, ma riusciremo a superarlo ed arriveremo agevolmente alla meta. Nella parte più bassa, la curva blu indica uno scenario di media negatività, ed assomiglia parecchio all’esperienza vissuta del Portoghese: esplorazioni di fiumi scambiati per mari, ammutinamenti, viveri esauriti. Insomma difficoltà che fanno vacillare nelle proprie convinzioni.

 

Però, finché si rimane all’interno di questa curva, si può sempre ragionevolmente sperare di raggiungere, alla fine, il proprio traguardo. La linea rossa, l’ultima, mostra invece lo scenario avverso, quello in cui le difficoltà, anche quelle previste ragionevolmente ex ante, rischiano di inficiare seriamente la spedizione o, per analogia, l’investimento.

 

Pertanto il cono consente all’investitore di capire quale volatilità ha il portafoglio e comprendere se è adeguata al proprio livello di rischio tollerabile, ovvero “quanto può continuare a rischiare” sempre mantenendo in vista il proprio traguardo, e quindi indicandogli il grado di scostamento dalla “rotta” ideale iniziale, rappresentata nel nostro grafico dalla linea continua grigia. È quando quest’ultima scende sotto questo livello di tollerabilità che un buon ammiraglio dovrebbe effettuare un cambio di direzione che salvi la spedizione di cui è a capo e porti indenni le sue navi sulle Isole delle Spezie.

 

*Il presente scritto è frutto di letture, studi e confronti tra gli autori. Il risultato impegna esclusivamente i medesimi, senza coinvolgere né rappresentare le aziende per cui lavorano

A cura di ADVISOR