"Il ritrovamento nel carcere di
Livorno di uno dei cellulari più piccoli del mondo, grande
solamente 7 centimetri, è la 'prova provata' che mentre la
criminalità organizzata fa uso della più avanzata tecnologia e
tra l'altro dei droni per recapitare i telefonini direttamente
in cella nei penitenziari, noi non disponiamo di alcuno
strumento per intercettare il traffico di cellulari
di ogni dimensione". Lo rende noto, commentando la vicenda, il
segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria, Aldo
Di Giacomo per il quale "è innegabile che le più avanzate
tecnologie sia per droni che
sfuggono a controlli (ammesso che nelle carceri ci siano
strumentazioni idonee ad intercettare voli o sistemi di allarmi
anti-intrusioni) che per i mini-telefonini di dimensioni sempre
più piccoli, facilitino l'introduzione dei cellulari di cui si è
perso il conteggio, comunque vicino ad una media di una trentina
al mese". Sulla "crescente richiesta di comunicazioni con
l'esterno è il caso di evidenziare - dice Di Giacomo - che i
boss non si limitano certo a telefonare alle mogli. Tanti
magistrati antimafia hanno accertato che i comandi per
operazioni sui territori partono proprio dalle celle delle
carceri e persino richieste estorsive".
Il Ssp ricorda che "ad agevolare l'uso disinvolto dei
cellulari è la parziale applicazione del decreto legge numero
130, entrato in vigore dal lontano 21 ottobre 2020, secondo il
quale introdurre e detenere telefonini in carcere è un reato,
che viene punito con pene che vanno da uno a quattro anni di
reclusione. I detenuti in possesso di cellulari sanno che
difficilmente incappano in una nuova condanna. Fermare il
mercato dei telefonini che produce effetti devastanti sulla
sicurezza dei cittadini".
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