(di Roberto Nardi)
Una piccola natura morta del 1943,
dipinta a 19 anni, una veduta di Torcello (1946) e una Chiesa
della Salute (1947), fanno da preludio a "Primavera asolana",
l'opera, dai forti richiami a Gino Rossi, che segnò nel 1948 il
debutto artistico di Saverio Barbaro con la partecipazione alla
mostra collettiva dell'Opera Bevilacqua La Masa, a Venezia.
I quattro dipinti sono il momento d'avvio di "1924-2024:
cento anni di Saverio Barbaro", a cura di Marco Dolfin, promossa
dalla Fondazione intitolata all'artista veneziano, nelle sale di
Palazzetto Tito, sede della Fondazione Bevilacqua La Masa, fino
al 6 gennaio prossimo.
La mostra antologica, che conclude le iniziative per il
centenario dalla nascita di Barbaro, presenta 40 opere, dagli
inizi degli anni Quaranta fino a "Porta bianca" del marzo 2020,
anno della morte dell'artista, che illustrano un percorso
artistico che ha attraversato quasi sessant'anni, muovendosi su
più terreni, Europa poi Africa, Medio Oriente, ma con le figure
umane e i paesaggi quali costanti.
Se le prime opere sono dedicate alle atmosfere veneziane,
lagunari, alle isole - tra tutte "Case a Burano" del 1949 dove
compaiono per la prima volta delle campiture di colori che
riemergeranno fino a diventare dominanti qualche decennio dopo -
il richiamo internazionale, i viaggi all'estero, l'attrazione
per mondi diversi, compaiono già nella seconda sala, quella
degli anni Cinquanta, con Parigi, l'Olanda, il nord della
Francia caro ai post-impressionisti, al veneziano Rossi
(1884-1947).
Negli anni Sessanta l'artista attraversa un periodo
cosiddetto del "realismo esistenziale" e i colori si fanno cupi,
mentre forte è la denuncia sociale contro la violenza, specie
nei confronti delle donne ("Violenza" è un olio del 1966),
contro gli orrori della guerra, del nazismo.
Arrivano invece negli anni Settanta la svolta coloristica,
la luce, i ritratti di donne, i paesaggi berberi: sono le
testimonianze artistiche dei viaggi in Africa - iniziati alcuni
anni prima - che prendono forma sulle tele. Sono l'avvio di un
ideale ciclo di lavori che stabilisce un felice incontro tra
culture, modi, vite diverse e che accompagnerà Barbaro, non a
caso descritto come "l'orientalista" che amava profondamente la
sua città natale, fino agli ultimi giorni.
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