Da un'inchiesta che ha coinvolto
anche l'Università di Teramo, ; fatta durante il periodo di
lockdown, è emerso che ;la DaD, la didattica a distanza, non può
sostituire quella in presenza e ha avuto un impatto negativo
sulle condizioni di lavoro per la maggior parte degli
intervistati. Per circa due docenti su tre (64,7%) il carico di
lavoro è aumentato in modo rilevante e l'aumento maggiore degli
impegni ha riguardato le lavoratrici (con un incremento
rilevante per il 67% delle docenti contro il 57% dei colleghi
uomini). I carichi di lavoro, in particolare, sono aumentati in
misura maggiore tra chi aveva difficoltà di coordinamento con i
dirigenti e con i colleghi rispetto a chi aveva avuto modo di
costruire relazioni più cooperative per fronteggiare
l'emergenza. Inoltre in poco più della metà dei casi (52,8%) la
DaD è stata definita unilateralmente dal dirigente scolastico e
dai suoi collaboratori e solo nel 62,5% dei casi sono state
attivate delle iniziative di formazione per sostenere i docenti,
con le carenze maggiori emerse tra i docenti della scuola
primaria (il 44,5% non ha ricevuto una formazione specifica).
Più di 8 insegnanti intervistati su 10 (83,3%), poi, hanno usato
per la Dad un proprio dispositivo, non condiviso con altri
membri della famiglia e meno di un terzo degli insegnanti
intervistati (30,4%) è riuscito a raggiungere con la Dad, tutti
gli studenti della sua classe, soprattutto nel mezzogiorno dove
la percentuale di insegnanti che ha dichiarato di riuscire a
raggiungere tutti gli studenti della propria classe è stata del
24,2% nel Sud e 23,7% nelle Isole. I dati saranno illustrati
nella loro interezza venerdì 23 ottobre da uno dei curatori
dell'indagine, il professor Marcello Pedaci dell'Università di
Teramo, presso la sede della Cgil.
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