Doveva essere il momento del rilancio dell'economia della parte dell'Abruzzo che ruota attorno al turismo della montagna. Quello di Roccaraso e Rivisondoli, a 1.250 metri sugli Altopiani Maggiori d'Abruzzo, tra il Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco nazionale della Majella, è il comprensorio più grande dell'Italia centro-meridionale. Un bacino sciistico (Aremogna-Pizzalto-Monte Pratello) con 28 impianti di vario tipo, cinque cabinovie per circa cento chilometri di piste che, da sempre, è il punto di riferimento per gli appassionati degli sport invernali anche di Campania, Lazio e Puglie. Un bacino che ogni anno ospita oltre quattro milioni di turisti. Le condizioni c'erano tutte: oltre un metro di neve che avrebbe consentito di andare avanti con gli impianti aperti fino a Pasqua e le richieste che continuano ad arrivare da ogni parte d'Italia.
Dopo aver perso la prima parte della stagione a causa delle restrizioni imposte dal governo per contrastare l'ulteriore diffusione del Covid-19, imprenditori, operatori turistici, albergatori e l'esercito di oltre 1500 persone che vivono con il turismo invernale speravano nella riapertura annunciata dal Governo per il 18 gennaio per salvare la stagione e porre le basi per una ripartenza. Invece la doccia fredda da parte del Comitato tecnico scientifico che ha indicato gli impianti di risalita come possibili luoghi di propagazione del virus. Da qui la decisione da parte del Governo di tenere chiusi i comprensori sciistici almeno ancora per un mese. Mentre le regioni dell'arco alpino possono guardare al futuro puntando su una stagione estiva di alto livello la parte dell'Abruzzo che vive con la montagna, rischia il tracollo economico e sociale. Sindaci, imprenditori e operatori turistici lanciano l'allarme sulla grave situazione che va verso il default.
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