La Corte d'Appello di
Reggio Calabria ha confermato la sentenza di primo grado nel
processo "Il Principe" condannando il boss Giovanni De Stefano a
20 anni e 4 mesi di carcere per associazione mafiosa,
intestazione fittizia ed estorsione. Per quest'ultimo reato, il
boss di Archi era stato assolto in primo grado ma i giudici
d'appello hanno accolto il ricorso della Dda e lo hanno
giudicato colpevole anche per la mazzetta di 200 mila euro
pagata dalla ditta che ha ristrutturato il Museo nazionale di
Reggio Calabria dove sono custoditi i Bronzi di Riace.
Dopo 13 ore di camera di consiglio, la sentenza è arrivata
all'una di notte. La Corte d'Appello ha condannato anche
Vincenzino Zappia e Demetrio Sonsogno, detto "Mico Tatoo",
rispettivamente a 10 anni e 8 mesi e 12 anni di reclusione. È
stato confermata, inoltre, la condanna dell'imputato Fabio
Arecchi a 2 anni e 8 mesi di carcere. Come è avvenuto in primo
grado, infine, sono stati assolti gli altri 2 imputati, Vincenzo
Morabito e Arturo Assumma.
Il processo è nato da un'inchiesta della Dda guidata dal
procuratore Giovanni Bombardieri. Su richiesta del procuratore
aggiunto Giuseppe Lombardo e dei pm della Dda Stefano Musolino e
Rosario Ferracane, gli arresti scattarono nel 2015.
L'operazione "Il Principe", dal soprannome di Giovanni De
Stefano, ruota attorno alle dichiarazioni del pentito Enrico De
Rosa e alle intercettazioni telefoniche e ambientali che
consentirono ai carabinieri e alla squadra mobile di chiudere il
cerchio sull'estorsione che la cosca di Archi ha imposto alla
Cobar, la società che aveva vinto l'appalto per i lavori al
Museo Nazionale.
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