Spaccio di droga tra Gioia
Tauro e Livorno, effettuato anche in pieno giorno e pure in zone
frequentate da bambini. È quanto emerso dall'inchiesta "Rail
Verde", condotta dai finanzieri del Comando provinciale di
Reggio Calabria con il coordinamento della Procura di Palmi. Il
gip ha emesso 16 misure cautelari: 12 agli arresti e 4 con
divieto di dimora nel comune di residenza. Produzione e
detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti,
combustione illecita di rifiuti pericolosi, resistenza a
pubblico ufficiale, evasione e furto sono i reati contestati. Il
blitz è scattato all'alba nella Piana di Gioia Tauro, dove è
stata individuata una vasta piantagione di marijuana situata su
un terreno demaniale. Gli arresti sono stati eseguiti anche a
Livorno e Olbia. I soggetti colpiti dalla misura sono dieci
italiani, residenti a Gioia Tauro, Rosarno e Palmi, un
liberiano, un senegalese e quattro ghanesi, di cui uno risulta
tuttora percettore di reddito di cittadinanza, beneficio che
verrà immediatamente sospeso.
L'indagine è partita giugno 2021 quando un elicottero della
Sezione aerea di Lamezia Terme delle fiamme gialle ha
individuato la vasta piantagione nei pressi del
termovalorizzatore di Gioia Tauro: 1.219 piante di cannabis e 14
kg di infiorescenze per un totale di 795,95 chili di marijuana.
Le indagini hanno consentito di ricostruire come la piantagione
fosse irrigata tramite un sofisticato sistema "a goccia"
costantemente vigilato dagli indagati. Uno di questi si sarebbe
recato giornalmente sul posto evadendo dagli arresti domiciliari
disposti nell'ambito di altro procedimento penale. Quando la
piantagione è stata sequestrata, alcuni indagati hanno tentato
di dileguarsi tra i campi mentre altri si sono dati ad una
spericolata fuga a bordo di un mezzo inseguito dalle auto della
Guardia di finanza e provocando un incidente. Altri, invece,
hanno provato a distruggere le piantine dando fuoco alla
piantagione e costringendo i finanzieri a mettere in sicurezza
dall'incendio il terreno. Le indagini hanno consentito, infine,
di individuare il luogo di deposito, di lavorazione ed
essiccazione dello stupefacente dal quale gli indagati
scambiavano foto, anche selfie, via WhatsApp.
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