Aveva ventisette anni, faceva il
pescatore e vendeva pesce al mercato. In dieci giorni riuscì a
regalare un sogno ai napoletani, un sogno bello da far paura,
tanta paura che i suoi stessi concittadini decisero di
distruggere il sogno e quel folle che aveva permesso loro di
sognarlo. Questa, a riassumerla in poche righe, fu la
rivoluzione di Tommaso Aniello d'Amalfi, detto Masaniello, che
rivivrà al Pozzo e il Pendolo Teatro di Napoli, venerdì
prossimo, 22 novembre alle 21 (in replica sabato 23), nello
spettacolo Masaniello, con la drammaturgia e la regia di
Annamaria Russo. L'allestimento, sottolinea una nota, vedrà
interpreti, in scena, Alessio Sica, Marianita Carfora, Alfredo
Mundo, Gennaro Monti, Michele Costantino, Vincenzo D'Ambrosio,
Lorenzo Neri, con le musiche e il progetto sonoro a cura di
Gennaro Monti, le luci di Amedeo Carpentieri.
Sette luglio 1647: il popolo napoletano, ridotto alla fame
dalla pressione fiscale del viceregno spagnolo, scatenò una
rivolta violentissima. A capeggiare l'insurrezione, un
pescatore, Tommaso Aniello d'Amalfi, detto Masaniello. La città
lo nominò Generalissimo della popolazione e lo seguì con cieca
fede per sette giorni, mettendo a ferro e fuoco la città, e
costringendo i nobili e il viceré a riparare presso Castel
Sant'Elmo, per sfuggire alla violenza dell'assalto. Sette giorni
durò la rivoluzione dei "pezzenti", sette giorni leggendari
durante i quali il governo si arrese alla forza del popolo, e
accolse, senza condizioni, tutte le richieste del Generalissimo.
Sette giorni durante i quali il popolo fu sovrano. Tra i vicoli,
le strade, le piazze riecheggiava un solo grido: libertà. Sette
giorni durante i quali l'impossibile diventò possibile. Poi, di
colpo, tutto finì. Qualcuno tirò giù il sipario, e calò il buio,
anche nella mente di Masaniello che, improvvisamente, impazzì.
Tra i vicoli, il popolo non inneggiava più al suo comandante,
ma, a bassa voce, ne decretò la morte. Il 14 luglio, alla
vigilia della festa della Madonna del Carmine, Masaniello
pronuncia il suo ultimo delirante discorso alla popolazione, e,
poche ore dopo, la sua testa viene portata in pegno al Viceré.
Conclude la nota: "Questa è la storia di Masaniello, ma questa è
anche la storia di Napoli, che, nei secoli, si replica identica
e immutabile. Una città che non perdona chi prova a sollevarla
dal fango, rivelandosi, in realtà, una terra dal ventre molle,
che fagocita sogni ed espelle abiezione".
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