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Lungo il Niger, in prima linea per il clima

Abdou Traore, proteggere il fiume contro fame e terrorismo

Redazione ANSA ROMA

"Il cambiamento climatico da noi non è teoria. E' una realtà che le nostre popolazioni conoscono da trent'anni. Piove meno, la produzione agricola diminuisce, c'è meno foraggio per gli animali. La terra secca, il deserto avanza. La gente non sa più cosa mangiare, allora taglia gli alberi e va a vendere la legna in città. E così distrugge ancora di più la natura".

Abdou Ramani Traore è un omino tranquillo dai modi gentili, cappello di paglia in testa, un maglione sdrucito infilato sotto il vestito di cotone da deserto africano, per proteggersi dal primo freddo autunnale di Roma. E' un dirigente dell'Autorità di bacino del Niger, il grande fiume dell'Africa occidentale che attraversa nove paesi (Benin, Burkina Faso, Camerun, Costa d'Avorio, Guinea, Mali, Niger, Nigeria e Ciad). Lungo il fiume vivono agricoltori e allevatori poverissimi e imperversano bande di criminali e terroristi islamici (la differenza fra gli uni e gli altri spesso non è chiara).

Traore è a Roma per il convegno "I grandi fiumi del mondo si incontrano", organizzato dal ministero dell'Ambiente al Campidoglio. La sua Autorità di bacino è sovranazionale, mette insieme i nove paesi attraversati dal fiume. Traore ha il dono di spiegare concetti complessi con parole semplici. E non perde mai quel suo tono pacato, anche quando racconta le realtà terribili che deve affrontare tutti i giorni: fame, malattie, povertà estrema, terrorismo.

"Se si vuole salvare il fiume, bisogna negoziare con chi taglia gli alberi - racconta -. Noi proponiamo loro di costruire un perimetro di irrigazione, che permetta all'agricoltura di andare avanti e alla gente di sopravvivere".

Poi ci sono da risolvere le guerre fra poveri, tanto più feroci quanto più è in gioco è la sopravvivenza. "Se la terra secca, gli agricoltori tendono ad allargarsi, invadendo i pascoli degli allevatori - spiega Abdou -. Gli allevatori a loro volta portano le loro bestie a pascolare sui campi. Noi andiamo là a mediare, a dividere i terreni, a stabilire dove deve stare ciascuno".

Se Traorè e i suoi falliscono, la cosa non finisce davanti a un tribunale, con nel mondo ricco. Lungo il Niger, se non si risolvono i problemi, la gente muore di fame, o si fa la guerra, o si arruola nelle bande terroriste, o migra verso la Libia per raggiungere Lampedusa.

"Il nostro problema è trovare i soldi per fare dighe, canali, recinzioni, passaggi per il bestiame - spiega -. Il problema è che i grandi finanziatori internazionali, la Banca Mondiale, i paesi dell'occidente, vengono da noi e ci dicono 'finanziamo quello che diciamo noi'. Magari propongono un progetto per portare l'elettricità nelle città. Benissimo, ma io ho la gente che muore di fame nelle campagne, ho bisogno di canali di irrigazione. Noi vorremmo che i finanziatori venissero da noi, sul territorio, e concordassero con noi gli interventi".

Traore non si scompone neppure quando parla di terrorismo.

"Il terrorista è una persona scoraggiata - dice -. E' un ragazzo che non può andare a scuola, che non può permettersi vestiti decenti. Arrivano i terroristi pieni di soldi, e lui li segue.

Oppure scappa in Libia e cerca di arrivare da voi". Ma il terrorismo ha anche un altro effetto malefico. "Per i problemi di sicurezza, nessuno viene ad investire. Ma non intervenire per paura del terrorismo, vuol dire aumentare la povertà, e quindi il terrorismo stesso".

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