- REGGIO CALABRIA - "Da 4 anni abbiamo iniziato un percorso giurisprudenziale nuovo. Stiamo adottando provvedimenti di decadenza o di limitazione della responsabilità genitoriale e contestuale allontanamento dei ragazzi dalla famiglia". A dirlo è stato Roberto Di Bella, presidente del tribunale dei minori di Reggio Calabria in un'intervista a Radio Vaticana, parlando del sostegno ai figli di famiglie mafiose. "Stiamo provando - ha aggiunto - a censurare il modello educativo mafioso nei casi in cui questo mette a repentaglio l'incolumità psico-fisica dei minori, nello stesso modo con cui si interviene a tutela di minori che hanno genitori maltrattanti, alcolisti o tossicodipendenti. Noi interveniamo caso per caso; non facciamo operazioni di 'pulizia etnica', è bene chiarirlo. Non interveniamo in via preventiva solo perché la famiglia è mafiosa, ma quando il metodo educativo mafioso o il contesto mafioso determinano un concreto pregiudizio all'integrità emotiva, psicofisica del minore. Ci devono essere situazioni di concreto pregiudizio o comunque sintomatiche di un indottrinamento mafioso. Allora interveniamo allontanandoli dalle famiglie e collocandoli altrove, anche fuori Calabria, con un duplice obiettivo. Il primo ovviamente è quello di assicurare adeguate tutele per una regolare crescita psicofisica. Nel contempo vogliamo fornire loro l'opportunità di sperimentare realtà sociali, culturali, psicologiche, e anche affettive, diverse da quelle del contesto di provenienza, nella speranza di sottrarli a un destino ineluttabile. Vorremmo operare le infiltrazioni culturali necessarie per rendere questi giovani liberi di scegliere. Cerchiamo di fargli intravedere che esiste un mondo diverso, dove la violenza o l'omicidio non sono gli strumenti ordinari di risoluzione delle controversie; un mondo dove vi è parità di diritti tra uomo e donna, e dove il carcere non è una medaglia da appuntarsi sul petto". In merito alle mamme di 'ndrangheta, Di Bella ha sostenuto che "quasi il 90% delle madri dei ragazzi di cui ci stiamo occupando si trova in una condizione di profonda sofferenza per lutti, carcerazioni loro e dei figli. Superata una prima fase di contrapposizione comprensibile contro i provvedimenti, non si oppongono più.
Negli ultimi anni si sono registrate inoltre evoluzioni imprevedibili: diverse madri hanno iniziato dei percorsi di collaborazione con la giustizia proprio nei locali del Tribunale per i Minorenni; altre si sono presentate per chiedere di allontanare i figli, o a volte per chiedere aiuto per loro stesse".
"E' piena la sintonia con Roberto Di Bella, presidente del tribunale dei minori di Reggio Calabria, ma i magistrati ci aiutino a trovare la quadra". A dirlo è il deputato Pd Davide Mattiello, relatore della proposta di legge che riforma il sistema di protezione per i testimoni di giustizia, secondo il quale "è di fondamentale importanza che lo Stato in maniera chiara ed efficace offra la possibilità a minori e donne appartenenti a famiglie di mafia di cominciare una vita libera.
La mafia senza donne e minori diventa una banale banda armata destinata all'estinzione". "Però - avverte il parlamentare, componente delle Commissioni Antimafia e Giustizia - dobbiamo trovare il modo di superare un problema: il meccanismo che per lo Stato fa scattare la protezione presuppone sempre una "dote": un pacchetto di informazioni. Infatti tanto il collaboratore di giustizia quanto il testimone di giustizia diventano tali e accedono agli speciali programmi di protezione in quanto portatori di informazioni ritenute utili dagli inquirenti. Ma ci sono donne, spesso madri di bambini minorenni, che pur facendo parte di famiglie di mafia non hanno questa "dote" da mettere sul tavolo". La Commissione Antimafia e in particolare il V Comitato nel formulare la proposta di legge di riforma del sistema tutorio per i testimoni di giustizia, già votato all'unanimità dalla Camera e ora in attesa del voto al Senato, aveva proposto una norma rivolta a coprire proprio queste situazioni "ma la norma - ricorda Mattiello - ha trovato la ferma opposizione della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo (Pnaa), che ha paventato il rischio che una norma del genere potesse aprire surrettiziamente la porta alla nefasta dissociazione, che in tema di mafie è del tutto inaccettabile.
Abbiamo condiviso la preoccupazione manifestata dalla Pnaa e abbiamo ritirato la norma, chiedendo alla magistratura un supplemento di aiuto. Oggi a fronte di queste parole lo ribadisco. In questa Legislatura possiamo ancora farcela".
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