All'architetto, artista e designer Gio Ponti (1891-1979), promotore e divulgatore del "fare" italiano, è dedicata una mostra al Mic di Faenza (Ravenna) dal 17 marzo al 13 ottobre. 'Gio Ponti. Ceramiche 1922-1967', a cura di Stefania Cretella, espone in quindici sezioni oltre duecento opere - tra ceramiche, vetri, arredi e disegni - per illustrare il lavoro ceramico di Gio Ponti in relazione alla sua visione dell'abitare e di un nuovo vivere moderno.
Ponti fu uno dei massimi divulgatori del Made in Italy già dagli anni Venti, quando divenne direttore artistico della Richard Ginori dando il via a un rinnovamento della produzione.
Durante la sua lunga carriera Ponti entrò in contatto con diverse realtà ceramiche italiane: la Cooperativa Ceramiche di Imola, Pietro Melandri e il contesto faentino (famose le cartepeste realizzate con i Dalmonte), le Ceramiche Pozzi, Joo e Gabbianelli, per citare le principali aziende con cui promosse percorsi e progetti unici e straordinariamente attuali. Le sue conoscenze lo vedono al centro del dibattito culturale italiano e della definizione del razionalismo italiano. Collabora con i critici Ugo Ojetti, Edoardo Persico, lavora insieme a Luigi Fontana e a Giovanni Gariboldi, suo successore alla Richard Ginori. Ponti fu inoltre uno dei protagonisti delle Biennali di Monza, presentando nelle sale della villa Reale le novità da lui introdotte nel repertorio della Richard-Ginori e i risultati delle sperimentazioni condivise con gli altri architetti del côté milanese coinvolti nelle esperienze del Labirinto e della Domus Nova per i grandi magazzini La Rinascente a Milano.
A lui si deve anche la fondazione di due riviste importanti per il design e l'alto artigianato artistico come Domus e Stile, che contribuirono in modo evidente alla promozione delle arti destinate all'arredo domestico e alla diffusione del linguaggio moderno, idee che furono coronate dalla progettazione e costruzione dal 1956-60 del Grattacielo Pirelli a Milano, capolavoro del razionalismo italiano diventato simbolo assoluto della "modernità" nel dopoguerra in Italia.
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