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Atomi metallici catturati dal grafene per i materiali del futuro

Atomi metallici catturati dal grafene per i materiali del futuro

Applicazioni dai dispositivi elettronici alla nanotecnologia

12 novembre 2024, 07:07

di Benedetta Bianco

ANSACheck
Atomi di cobalto e di nichel intrappolati in una rete di grafene (fonte: Valeria Chesnyak, Irene Modolo) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Atomi di cobalto e di nichel intrappolati in una rete di grafene (fonte: Valeria Chesnyak, Irene Modolo) - RIPRODUZIONE RISERVATA

La robustezza degli atomi metallici unita alle straordinarie proprietà del grafene, che è in grado di catturare e intrappolare gli atomi nella propria rete: è questa l’innovativa ricetta per un’intera classe di materiali del futuro, che promette importanti applicazioni nei dispositivi elettronici e nellf nanotecnologie, ma anche nel modo con cui vengono elaborati e memorizzati i dati e nel rilevamento dei gas.

Il risultato, pubblicato sulla rivista Science Advances, si deve allo studio internazionale guidato dall’Italia, con l’Istituto Officina dei Materiali del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Trieste, in collaborazione anche con l’Università di Trieste e l’Università di Milano-Bicocca. Il metodo consiste nel depositare in modo controllato atomi metallici durante la formazione dello strato di grafene: in questo modo, alcuni degli atomi vengono incorporati nella rete di carbonio di quest’ultimo, formando un nuovo materiale che ha proprietà eccezionali di robustezza, reattività e stabilità.

“Si tratta di un risultato ancora preliminare, ma già molto promettente, frutto di un’idea originale nata nel nostro laboratorio che all’inizio sembrava irrealizzabile”, afferma Cristina Africh del Cnr-Iom, che ha coordinato i ricercatori. “La metodologia è stata sperimentata per intrappolare atomi di nichel e cobalto – aggiunge Cristiana Di Valentin dell’Università di Milano-Bicocca, co-autrice dello studio – ma i nostri calcoli dicono che l’uso si potrà estendere ad altri metalli per applicazioni diverse”. Il materiale così ottenuto, inoltre, ha dimostrato di riuscire a rimanere stabile anche in condizioni critiche, come gli ambienti utilizzati per le applicazioni in celle a combustibile e batterie.

Lo studio è stato reso possibile dalla partecipazione di ricercatori con competenze diverse e complementari: “Un aspetto decisivo per dimostrare l’efficacia di questo approccio – conclude Giovanni Comelli dell’Università di Trieste, tra i firmatari dell’articolo – semplice e potente al tempo stesso”.

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