Svolta in casa Twitter: stop ovunque nel mondo a tutti gli spot politici sulla propria piattaforma. Ad annunciare la decisione il numero uno del social media Jack Dorsey, che ad un anno dalle elezioni presidenziali americane del 3 novembre 2020 prende una posizione netta e decisamente diversa da Facebook, con Mark Zuckerberg fautore di un approccio più morbido, a costo di attirarsi le critiche più feroci.
"Abbiamo preso la decisione di bloccare tutte le inserzioni pubblicitarie perchè la pubblicità su internet è molto potente ed efficace, ma comporta significativi rischi politici laddove può essere usata per influenzare voti", ha affermato Dorsey, spiegando come questo non abbia "nulla a che fare con la libertà di espressione": "Ha a che fare con il pagare" per raggiungere un pubblico più ampio possibile, e questo - ha aggiunto - ha significative ramificazioni che l'architettura democratica di oggi potrebbe non essere in grado di gestire".
Del resto quanto accaduto con le presidenziali Usa del 2016, ma anche nel corso delle campagne elettorali in tanti Paesi europei e del mondo occidentale, hanno da tempo posto il problema del ruolo dei social network nei processi elettorali in primissimo piano, con Facebook e Twitter finiti spesso sul banco degli imputati. Ora Dorsey, alle prese con un difficile rilancio di Twitter, vuole voltare definitivamente pagina, a differenza di Zuckerberg che ancora pochi giorni fa è stato duramente contestato in Congresso.
Dopo Usa 2016 l'amministratore delegato di Twitter aveva già varato una stretta, iniziando a chiedere agli inserzionisti di verificare la loro identità e pubblicando una banca dati degli spot politici ed elettorali presenti sulla propria piattaforma. E di recente vietando le pubblicità sponsorizzate da organismi sostenuti da governi, una risposta in particolare alle fake news circolate sulle proteste ad Hong Kong e favorite da media sostenuti da Pechino.
E' inevitabile che adesso la decisione di Twitter metterà ancora più pressione su tutti gli altri social media. Anche se Zuckerberg ha continuato a difendere la sua linea: Facebook è nata per dare voce a tutti e si schiera dalla parte della libera espressione. Dunque la soluzione non è vietare ma regolare e vigilare. E nel quartier generale di Menlo Park opera oramai in pianta stabile una sorta di 'war room' dove una task force di esperti prova a controllare tutti i contenuti che passano sulla piattaforma di Facebook, soprattutto a ridosso di importanti elezioni.
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